Pubblichiamo due articoli di Goletta Verde sulle “trivelle” nel mare Adriatico (6 agosto e 8 agosto)
Leggi il dossier “Dismettiamole”
Vasto (Ch), 2 agosto 2016 Comunicato stampa
Legambiente: “Trentamila km quadrati di mare Adriatico, da Rimini a Otranto, saranno interessati dalla ricerca di nuovo petrolio con questa discussa tecnica di ricerca che non porta vantaggi alla collettività, ma che è a favore esclusivamente delle compagnie petrolifere”
Il flash mob a Vasto (Ch) dove tre anni fa si spiaggiarono sette capodogli
La petizione #StopOilAirgun su
https://www.change.org/p/fermiamo-l-airgun-salviamo-i-cetacei-stopoilairgun
Dalla spiaggia di Vasto in tanti per dire #stopOilAirgun. A un anno di distanza la Goletta Verde di Legambiente torna alla spiaggia di Punta Penna a Vasto, dove nel settembre del 2014 si sono spiaggiati 7 capodogli, per dire chiedere al premier Renzi e al Governo di vietare la discussa tecnica utilizzata per le prospezioni petrolifere in mare che ha un impatto devastante sull’ecosistema marino, in particolare sui cetacei, e sulla pesca. Sempre più studi scientifici ribadiscono infatti che questa tecnica può provocare danni ed alterazioni comportamentali, talvolta letali, in specie marine assai diverse, in particolare per i cetacei, fino a chilometri di distanza. Gli studi hanno accertato la connessione tra lo spiaggiamento e le ricerche petrolifere attraverso airgun attive nell’area. Senza calcolare i danni economici alle attività di pesca e l’economia locale. La soluzione è unica: costringere il governo a vietare una volta per tutte l’utilizzo di questa tecnica per la ricerca di idrocarburi.
“Una battaglia che rientra nella nostra mobilitazione generale contro le fonti fossili che continua anche dopo il referendum – Rossella Muroni, presidente di Legambiente – perché come volevasi dimostrare nuovi pozzi e nuove attività di prospezione mettono a rischio l’Adriatico e più in generale i mari italiani. C’è, invece, un altro scenario più conveniente, pulito, democratico su cui chiediamo al Governo Renzi di puntare per portare l’Italia fuori dall’era dei fossili, in linea con gli impegni presi a Parigi alla Cop21. L’Italia – conclude Muroni – possiede oggi risorse naturali e opportunità per puntare a un futuro cento per cento rinnovabile grazie ad alternative realmente competitive ma bloccate da politiche miopi: l’autoproduzione da energie rinnovabili, il biometano, l’efficienza energetica”.
Il pericolo dell’airgun è purtroppo ancora attuale dopo che il TAR del Lazio ha bocciato il ricorso presentato dai comuni abruzzesi e marchigiani. In questo modo si dà sostanzialmente il via libera alla richiesta della Spectrum Geolimited, di condurre indagini con l’Airgun in circa 30.000 km quadrati di mare Adriatico, da Rimini a Otranto.
“Il nostro appello lo scorso anno ha raccolto quasi 50.000 sostenitori, persone dalla parte del mare e delle comunità locali, contro l’Airgun e gli interessi delle grandi compagnie petrolifere – dichiara Giuseppe Di Marco, presidente di Legambiente Abruzzo -. Per questo dalla spiaggia di Punta Penna a Vasto torniamo a chiedere con forza al Governo e a tutti gli schieramenti politici di vietare da subito l’utilizzo dell’airgun per la ricerca di petrolio e gas sotto i mari italiani, che non porta vantaggi alla collettività in termini economici, di conoscenza scientifica e ambientali, ma che è a favore esclusivamente delle compagnie che detengono i titoli e le concessioni minerarie. Un impegno già più volte annunciato dalla maggior parte dei gruppi parlamentari ma rimasto ad oggi ancora disatteso. Tutti gli abruzzesi sono chiamati a rinnovare questa battaglia per il nostro mare: così come abbiamo fermato Ombrina, adesso abbiamo la responsabilità di bloccare l’apertura di nuovi pozzi come quelli di Rospo Mare”.
Oggi non esistono misure specifiche sulla problematica dell’airgun a livello europeo e nazionale, ma sono sempre di più gli studi, i rapporti e i regolamenti internazionali che ne descrivono gli impatti e ne chiedono una maggiore regolamentazione e soprattutto una riduzione nella sua applicazione.
Per comprendere meglio i potenziali rischi derivanti dall’utilizzo intensivo dell’airgun va inoltre sottolineato che i nostri mari italiani rappresentano un importante hot spot di biodiversità, per questo ordine di mammiferi non solo per la presenza del “Santuario per i mammiferi marini Pelagos”, nato da un accordo internazionale tra Italia, Francia e Principato di Monaco e che è stata la prima area protetta al mondo dedicata alla protezione dei cetacei, ma anche per la ricchezza riscontrabile in altri distretti marini quali il Canale di Sicilia, lo Ionio ed il Mar Adriatico.
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Ravenna, 8 agosto 2016 Comunicato stampa
Continua l’assalto delle compagnie petrolifere ai mari italiani
Goletta verde presenta il dossier #Dismettiamole
Nei mari italiani, e in particolare nell’Adriatico, 38 piattaforme e 121 pozzi hanno ormai terminato la loro attività produttiva o erogano talmente poco da far suppore che le compagnie stiano semplicemente ritardando la loro chiusura e di conseguenza l’obbligo e gli oneri di smantellamento e ripristino iniziale dei luoghi
Legambiente: “L’Italia scelga da che parte stare: chiediamo nuovo modello energetico pulito, rinnovabile e democratico, che faccia gli interessi dei cittadini italiani e non delle compagnie petrolifere”
Tutti i numeri dell’assalto all’oro nero:
http://www.legambiente.it/contenuti/dossier/dismettiamole
Sono lì da decenni, molte anche a poche miglia dalla linea di costa, tanto da essere ben visibili ad occhio nudo. Invadono principalmente l’Adriatico, ma pure il mar Ionio e il canale di Sicilia. Con una certezza: la corsa all’oro nero nei nostri mari è tutt’altro che terminata. Legambiente ha censito – tra le 69 concessioni di coltivazione di gas e petrolio – ben 135 piattaforme a mare e 729 pozzi. Di queste 38 piattaforme e 121 pozzi hanno ormai terminato la loro attività produttiva o erogano ormai talmente poco da far suppore che le compagnie stiano semplicemente ritardando la loro chiusura formale e, di conseguenza, l’obbligo e gli oneri di smantellamento e ripristino iniziale dei luoghi, come previsto dalla normativa. È per questo che Legambiente lancia la campagna #Dismettiamole, affinché si affermi un nuovo modello energetico pulito, rinnovabile e democratico, che faccia gli interessi dei cittadini italiani e non delle compagnie petrolifere.
Il dossier #Dismettiamole è stato presentato questa mattina a Marina di Ravenna, in occasione della tappa della Goletta Verde, la storica campagna a tutela dei mari e delle coste italiane che sta per terminare il suo periplo della Penisola.
“Più volte hanno provato a rassicurarci ma, come volevasi dimostrare, nuovi pozzi, dentro e fuori le aree vincolate, e nuove attività di ricerca, estrazione e prospezione continuano a mettere a rischio il mar Adriatico, lo Ionio, il Canale di Sicilia e il mar di Sardegna – ha dichiarato il responsabile scientifico di Legambiente Giorgio Zampetti -. Occorre evitare che nuovi tratti di mare siano coinvolti dall’impatto di queste attività, ma riteniamo sia giunto anche il momento di mettere in campo una strategia che si ponga l’obiettivo di dismettere le piattaforme presenti nel mar Mediterraneo e in quello italiano in particolare. In altre parti del mondo questo processo di cambiamento è già cominciato, basti pensare alle vicine Francia e Croazia che stanno dando il via ad una moratoria generale. L’Italia invece rimane l’unica ad avere un così alto numero di attività vicine alla propria costa a vantaggio esclusivamente delle compagnie petrolifere, perché è evidente che, in gran parte, si tratta di impianti assolutamente non strategici né dal punto di vista energetico, né economico, mentre continuano a tutti gli effetti a mettere a rischio l’ecosistema marino e le altre attività legate al mare”.
Non solo i vecchi impianti mettono in pericolo il mare, il suo ecosistema e le attività economiche ad esso collegate, perché il rischio di nuove trivellazioni e nuovi impianti è dietro l’angolo: sono infatti quattro le richieste di concessione di coltivazione che interessano i mari italiani; due di queste riguardano la zona dell’alto Adriatico ed appartengono una alla Stargas Italia e l’altra alla Po Valley; un’altra istanza di concessione invece riguarda il tratto di Mar Adriatico davanti la costa Abruzzese mentre l’ultima istanza interessa il Canale di Sicilia. Alle precedenti richieste si aggiungono anche 22 permessi di ricerca rilasciati nei mari italiani, di cui 8 in alto Adriatico, 6 lungo le coste marchigiane ed abruzzesi, 5 nelle acque siciliane, 2 nel basso Adriatico di fronte le coste pugliesi e nel mar Ionio. In totale sono ben 7.254,5 i chilometri quadrati di mare destinati alle attività̀ di ricerca. Trentadue sono invece le istanze di permesso di ricerca sul tavolo del Ministero dello Sviluppo Economico che potrebbero nel giro dei prossimi anni terminare il loro iter procedurale andando ad interessare ulteriori 15.362,6 kmq di mare.Rientrano infine tra le future possibili minacce per i mari italiani anche le otto Istanze di permesso di prospezione, delle indagini geofisiche altamente impattanti in quanto eseguite mediante la tecnica dell’airgun, per un totale di quasi 95mila chilometri quadrati di mare. Proprio per fermare l’utilizzo della tecnica dell’airgun Goletta Verde ha rilanciato da Vasto nei giorni scorsi una petizione che ha già superato le 66mila firme (https://www.change.org/p/fermiamo-l-airgun-salviamo-i-cetacei-stopoilairgun).
“Ci auguriamo – ha dichiarato la presidente di Legambiente Rossella Muroni – che venga intrapreso al più presto un serio percorso di confronto tra tutti i soggetti competenti per ragionare in maniera lungimirante su quale debba essere il futuro ambientale, energetico ed occupazionale del nostro Paese nei prossimi decenni. Al contrario del settore petrolifero, che rischia il fallimento a causa del calo dei consumi e del crollo del prezzo del petrolio, i settori delle rinnovabili e dell’efficienza sono in forte crescita e con norme e politiche adeguate potrebbero generare almeno 600mila posti di lavoro, circa 10 volte di più di quanto riesce a fare il settore petrolifero oggi. Numeri e prospettive che non possono lasciare indifferenti e il progressivo smantellamento delle piattaforme potrebbe rappresentare l’inizio di una nuova era, anche dal punto di vista occupazionale”.
Dismissioni da valutare anche sulla base delle conseguenze ambientali e dei costi per la collettività che queste piattaforme potrebbero avere. Ragionamento particolarmente importante, ad esempio, per gli impianti eroganti che estraggono sotto costa, soprattutto nella zona dell’Alto Adriatico, per via del fenomeno della subsidenza, cioè l’abbassamento del suolo. L’estrazione di gas sotto costa, anche se non è l’unica causa di tale fenomeno, resta il principale fenomeno antropico che causa la perdita di volume del sedimento nel sottosuolo generando un abbassamento della superficie topografica. I dati dei monitoraggi Arpa evidenziano come le conseguenze più rilevanti si registrano in particolare sulla fascia costiera dell’Emilia Romagna che negli ultimi 55 anni si è abbassata di 70 cm a Rimini e di oltre un metro da Cesenatico al delta del Po.
Un caso esemplificativo è quello della piattaforma di estrazione di gas Angela Angelina, costruita nel 1997 a soli 2 km dalla costa di Lido di Dante (RA), collegata a 10 pozzi eroganti e 4 non eroganti. La piattaforma è stata al centro del dibattito referendario, a causa dei suoi effetti sull’aumento della subsidenza lungo la costa.
Il tema dello smantellamento delle piattaforme è stato anche oggetto di una lettera di diffida a firma di Greenpeace, Legambiente e WWF inviata nel maggio 2016 al ministero dello Sviluppo Economico, sottolineando come, allo stato attuale dei fatti, diversi titoli abilitativi, per lo più localizzati entro la fascia delle 12 miglia, siano da rivedere e da controllare accuratamente per determinarne l’eventuale non compatibilità con le normative di settore, con conseguente revoca del titolo e obbligo di ripristino e bonifica delle aree da parte delle società titolari.
Il dossier #Dismettiamole è disponibile al seguente link: http://www.legambiente.it/contenuti/dossier/dismettiamole
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