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Sommario:

  1. Editoriale
  2. Di cosa parlano i media ?
  3. Intervista a Ermete Realacci
  4. Incontro con Giulietto Chiesa
  5. La campagna Mal’Aria 2002
  6. Energie alternative e risparmio energetico
  7. Campo di volontariato a Cuba
  8. Clima e povertà
  9. Gli OGM e il comune di Pisa
  10. La campagna “Banche armate”
  11. Il progetto Bicimobile
  12. L’albero Pazzo

Intervista a Ermete Realacci

a cura di

Marcello Cella

Abbiamo incontrato l’on. Ermete Realacci a margine del convegno di Legambiente a Pisa sulle energie rinnovabili il 16 marzo scorso.

Volevo iniziare con questa campagna lanciata da Legambiente su Clima e povertà. Che relazione c’è fra produzione, consumo e condizioni economiche e sociali dei singoli paesi?

Purtroppo spesso noi guardiamo il mondo dal buco della serratura per cui vediamo quello che in questo buco compare e non l’insieme delle cose che abbiamo davanti. Abbiamo passato un inverno in cui uno dei problemi di cui si è parlato di più è stato l’inquinamento delle città. E’ chiaro che non si tratta di problemi distinti l’uno dall’altro. Invece l’inquinamento delle città, la siccità, i mutamenti climatici e per certi aspetti, per rimanere alle cose del nostro paese, anche il dramma dei tanti disperati che muoiono alle porte di casa nostra cercando, come abbiamo fatto noi italiani nel secolo scorso, la speranza di una vita migliore sono collegati agli equilibri del pianeta perché questi equilibri dipendono molto dagli equilibri ambientali. In particolar modo i mutamenti climatici possono incidere fortemente su questi equilibri, soprattutto nella competizione per le risorse, quindi il petrolio, ma anche l’acqua. Se l’acqua diventerà un bene scarso in molte parti del mondo, e può diventare un bene più difficile da ottenere anche in molte parti d’Italia, e non solo come adesso perché magari si usa in maniera sbagliata, oppure ci sono le perdite di rete, ma proprio perché si riduce la piovosità e magari diventano più drammatiche le alluvioni con le piogge che diventano più improvvise e più intense, ci saranno nuovi conflitti. Faccio un esempio. La Turchia con la diga Ataturk ha bloccato il corso dell’Eufrate. L’Eufrate come sappiamo era la linfa vitale anche per i territori confinanti con la Turchia. Se ci sarà scarsità d’acqua questo non produrrà tensioni, non produrrà guerre? Ancora tante parti del mondo rischiano, a causa della carenza d’acqua o a causa dell’acqua inquinata, di avere un’ulteriore difficoltà nel proprio sviluppo, nella produzione dei prodotti agricoli, e questo può spingere intere popolazioni a migrare. Questa non è una cosa di cui possiamo far finta di niente, per cui se noi abbiamo cercato di tenere insieme questa campagna di Clima e povertà è proprio perché questo è uno dei temi classici della battaglia ambientale e di Legambiente in particolare, una battaglia per utilizzare bene l’energia, per non sprecarla, ma anche per utilizzare fonti meno inquinanti, per promuovere le fonti rinnovabili. Non c’è naturalmente una sola soluzione per tutto, ce ne sono tante che vanno affrontate fra cui la battaglia per avere un mondo pi_ equilibrato, perché le due cose stanno assieme e noi come Europa, noi come Italia, noi come mondo industrializzato, ma anche Pisa abbiamo innanzitutto da utilizzare la più interessante delle fonti rinnovabili e sicuramente la più pulita che abbiamo, anche se può essere usata anche male, cioè l’intelligenza, la cultura, i neuroni. Bisogna mettere a disposizione le capacità scientifiche e tecniche per progettare cose utili che servono agli uomini, servono a mantenere gli equilibri ambientali, producono bellezza e non danni. Ecco, il senso di questa nostra iniziativa, il senso di questa nostra campagna è anche questo, mettere a disposizione la straordinaria ricchezza di saperi, di cultura, di tecniche che nei nostri paesi si è concentrata per uno sviluppo più pulito, per uno sviluppo più sostenibile.

Quindi questo può essere anche un deterrente contro alcune forme di conflitto armato.

Sicuramente è una via obbligata perché se scoppierà la guerra per l’acqua, per tornare alla metafora della diga di Ataturk, sarà difficile tornare indietro. Dobbiamo agire per tempo, creare le condizioni perché questo genere di conflitto si generi. Poi volevo dire anche un’altra cosa. Dopo la tragedia delle due torri sembrava che molti leader dell’Occidente, e molti uomini di cultura lo hanno ribadito, avessero detto era necessario rispondere all’attentato non solo con l’uso della forza, ma anche con l’eliminazione delle cause di squilibrio nel mondo, almeno di quelle più gravi. Basta pensare a quello che sta accadendo ora in Palestina fra israeliani e palestinesi e in Medio Oriente. Invece su questo non si è fatto quasi nulla. Io ricordo anche i discorsi di Blair, di Clinton e di tanti altri che ci dicevano ‘dobbiamo rimuovere le cause di squilibrio nel mondo, la fame, la povertà, il sottosviluppo, la distruzione dell’ambiente’. Questo terreno non è stato assolutamente praticato. Questi grandi squilibri ovviamente non giustificano il terrorismo da qualsiasi parte venga, ma sono gli incubatori di futuri conflitti e di future violenze. E io penso che la maniera più intelligente che abbiamo per intervenire anche in queste cose sia di agire su queste cause. E aggiungo che agire in questo senso significa al tempo stesso migliorare la nostra qualità della vita, perché respirare un’aria più pulita credo faccia bene a tutti, per dire una banalità, ma anche costruire un futuro più solido. Agire in questa direzione non è solo un atto di giustizia e di bontà, è un atto di nobile egoismo, cioè noi se siamo intelligenti, vogliamo vivere bene e vogliamo far vivere bene chi verrà dopo di noi dobbiamo fare queste cose.

Secondo me, un altro fronte su cui agire e su cui la politica fa poco è quello degli stili di vita. Nel senso che se la politica deve avere anche una funzione, diciamo, "educativa" nei confronti dei cittadini forse dovrebbe anche dire delle verità scomode proprio su quegli stili di vita consumistici che hanno un impatto forte anche da un punto di vista ambientale…

…Si, anche se io penso che sia importante far capire ai cittadini che noi non gli additiamo un futuro più gramo, un futuro di scarsità o di infelicità. Al contrario, noi gli proponiamo una umanità più piena. Non so, utilizzare i mezzi pubblici in città e avere più isole pedonali non corrisponde ad un abbassamento della qualità della vita, ma ad un suo innalzamento. Utilizzare i prodotti tipici, i prodotti legati al territorio anziché mais geneticamente modificato non corrisponde ad un abbassamento della qualità della vita, ma ad un suo innalzamento. Quindi il discorso è giusto, ma bisogna che sia comunicato in maniera tale da far capire che noi stiamo additando in realtà una maniera migliore di vivere, non solo una maniera meno pesante di intervenire sull’ambiente.

Recentemente hai firmato un appello insieme a Cofferati riguardo alla difesa dell’ambiente e del lavoro che reputo molto positivo perché c’è sempre stato questo conflitto tra ambientalismo e lavoro. Però questo conflitto poi torna fuori a Gela in maniera molto forte. A che punto siamo secondo te su questo difficile rapporto fra le ragioni dell’ambiente e quelle del lavoro?

Il problema c’è, ma si sono fatti moltissimi passi avanti. Legambiente ha sempre avuto rapporti con i sindacati, con la CGIL. Con Cofferati siamo anche amici personali fra l’altro. Però abbiamo da gestire anche una pesante eredità del passato e questa passata eredità è fatta di grandissimi sprechi economici e di scelte sbagliate anche dal punto di vista della stessa economia del Paese. Se oggi uno venisse e dicesse "voglio realizzare un impianto siderurgico a Bagnoli", un polo petrolchimico nella laguna di Venezia forse non lo guarderemmo come una persona lungimirante. Però questo è accaduto, è accaduto anche a Gela, è accaduto con enorme spreco di denaro pubblico producendo spesso poco lavoro, danni ambientali e purtroppo malattie fra i lavoratori e la popolazione. Ora cambiare strada ovviamente non può essere fatto con un colpo di bacchetta magica però è importante sapere dove si vuole andare. E un paese che scommette non solo sulle proprie risorse più tradizionali, quelle legate alla propria storia, alla cultura, alla natura, al paesaggio, ma anche su un’economia della conoscenza, su un’economia in cui si vince se si producono cose belle, non se si pagano poco i lavoratori, se li si licenzia con più facilità e magari se ce ne infischiamo del rispetto dell’ambiente è a mio avviso un’economia più avanzata, una scommessa che si può fare insieme. Da questo punto di vista anche la battaglia sull’articolo 18 è una battaglia simbolicamente importante non perchè l’articolo 18 sia importante per il nostro futuro, visto che tutti i ragazzi che sono qui oggi non avranno mai a che fare con l’articolo 18. Anzi, bisognerà cambiare molto le norme per allargare la tutela ai nuovi lavori che con l’articolo 18 non hanno nulla a che vedere. E’ chiaro però che la battaglia sull’articolo 18 posta ideologicamente dalla Confindustria e dal governo è una battaglia sulle garanzie elementari, sul tasso di civiltà. L’idea di Italia, e anche di Europa, che noi abbiamo è più avanzata, più civile perché scommettendo sulla conoscenza, sull’ambiente, sulla cultura mantiene anche una risorsa straordinaria, la coesione sociale, e con una capacità di dare qualità ai suoi cittadini che è molto migliore di paesi in cui il liberismo selvaggio produce lacerazioni nella società.

Che giudizio dai sulle politiche ambientali del nuovo governo rispetto a quelle perseguite dal governo di centrosinistra?

Guarda, il nuovo ministro dell’Ambiente, Matteoli, per ora di suo non ha fatto gravi errori, anzi a parole le dichiarazioni che ha fatto sono mediamente di buon senso. Per esempio, rispetto ad un iniziale rigetto degli accordi di Kyoto che anche su quel terreno tendeva ad allineare l’Italia sulla posizione degli Stati Uniti, che come sappiamo è pessima per quanto riguarda gli accordi di Kyoto, l’Italia è ridiventata probabilmente in Europa uno dei paesi che spinge a parole sull’accordo di Kyoto. Il problema è che nei fatti le politiche di questo governo vanno in direzione completamente opposta. Basta pensare alla politica di Lunardi sui trasporti, ai varchi lasciati all’illegalità nel settore degli appalti, agli ammiccamenti nei confronti dell’abusivismo edilizio in tante parti d’Italia. In questi giorni in Sicilia c’è il tentativo di operare un’ennesima sanatoria per l’abusivismo lungo le coste. Quindi il rischio per l’ambiente riguarda soprattutto gli atti concreti fatti in vari campi da questo governo. La stessa legge Tremonti per l’emersione dal sommerso contiene in realtà anche una specie di amnistia per i reati ambientali di coloro che già avevano operato evadendo il fisco e magari non pagando i contributi ai lavoratori e che vengono premiati doppiamente perché vedono eliminati anche i reati ambientali. Ma soprattutto la mia paura oltre a questo, e questo vale anche per le rogatorie e per il mandato di cattura europeo, è che si dia spazio alla faccia negativa di questo paese. Perché noi abbiamo molte contraddizioni. L’Italia è un paese, come tutti, fatto di bene e di male. Se noi evochiamo e sosteniamo la parte peggiore del nostro paese, quella che si sposta verso l’abusivismo, quella che pensa che fregare gli altri sia la strada da seguire per vivere meglio, sarà dura.

Un’ultima cosa. In questi mesi la società civile italiana si è rimessa in movimento attraverso il cosiddetto movimento no-global, i girotondi, ecc. Tu che giudizio dai di questo risveglio anche contraddittorio? Alla fine ci toccherà ringraziare Berlusconi?

I no global ci sarebbero stati lo stesso anche senza Berlusconi, i girotondi forse no, anzi, sicuramente no. Anzi, penso che fosse utile fare qualche girotondo pure prima con il precedente governo, mi sa, per evitare i rischi in cui siamo finiti. Io ne do un giudizio positivo anche perché in tutte queste cose ci sono stato, ma penso che tutti questi movimenti debbano mantenere tutta la loro freschezza, tutta la loro autonomia anche rispetto a qualsiasi forza politica. Essi pongono delle domande, ma non sono spesso in grado di dare delle risposte. E’ necessario che la politica, e per me in particolare la politica dell’Ulivo, sia in grado di dare delle risposte a questa esigenza di costruire un mondo migliore. Pur essendo un uomo di movimento non affido ai movimenti la soluzione dei problemi. Anzi, temo che se i movimenti si caricano troppo di contenuti politici in senso stretto finiscano per perdere freschezza e capacità di parlare in maniera ampia. Banalizzo la questione, ma un mondo governato da Agnoletto o Casarini o magari anche da Realacci non credo che sarebbe un mondo perfetto. Forse è più utile che ci sia una capacità di porre domande anche radicali a cui qualcuno è obbligato a rispondere. E se il centro sinistra non lo fa è candidato a perdere.

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    Settembre 2004