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Sommario:

  1. Prima Pagina
  2. Il mondo ai tempi del colera
  3. Esperienze di volontariato
  4. Ambiente

L’entropia c’è ed è vicina

di

Roberto Sirtori

Le parole pesano [Il peso delle parole]
Entropia? Una parola suggestiva, che richiama qualche improbabile ricordo scolastico. È però una parola, un concetto, uno strumento interpretativo che coinvolge e può modificare la nostra immagine del mondo. Farla ignorare è forse un’astuzia del nostro tempo, rivolto solo alla crescita di produzione e consumi, cui è utile non conoscere parole che ci raccontano molto sulla natura del mondo, che ci avvertono che questo sistema economico e la sua cultura, surrettiziamente presentata come unica possibile, portano a un futuro insostenibile per il nostro pianeta e che, quindi, è necessario "un altro mondo". E non è una questione ideologica: la natura ha le sue leggi e il concetto di entropia è necessario per comprendere ed esprimerne una parte fondamentale.

Lasciamo a fisici, chimici, biologi, ingegneri e quant’altri l’uso di relazioni formali quantitative (le "formule") per descrivere i fenomeni, per quanto utile ed espressivo sia quel linguaggio. Non dobbiamo parlare di alchimie di laboratorio, ma della nostra automobile, se l’abbiamo, del frigorifero e di ogni altra macchina, ma anche e soprattutto della vita di una cellula o dei nostri gerani o del nostro gatto; e, se non abbiamo gerani o gatti, della vita del nostro corpo, come di quella dei sistemi più ampi in cui viviamo: i campi, i boschi, la città, il pianeta quindi. Anche l’evoluzione dell’universo è un problema entropico, ma limitiamoci qui alla Terra e ai tempi della presenza umana.

La parola, derivata dal greco ‘h t r o p h ‘ (trasformazione), è introdotta nel 1865 da Rudolph Clausius, in un testo in cui sintetizza i risultati della allora recente scienza termodinamica in due lapidarie proposizioni:

  1. nell’universo l’energia si conserva;
  2. nell’universo l’entropia tende al massimo.
Non ingannino la brevità degli assunti: si tratta della brillante conclusione di un percorso iniziato il secolo precedente quando si sono costruite le prime macchine termiche, le macchine che utilizzano fonti di calore per ottenere movimento: dalle pompe per estrarre l’acqua dalle miniere, ai telai per le industrie tessili nel settecento, dalla locomotiva a vapore nei primi decenni ai motori a combustione interna, come quelli delle auto, negli ultimi decenni dell’ottocento. Intorno alla metà di quel secolo numerosi ricercatori contribuirono, partendo da diversi punti di vista, a quella che, insieme alla teoria dell’elettromagnetismo, rappresenta il grande risultato della fisica dell’Ottocento: la termodinamica, uno dei grandi capitoli delle scienze naturali. Non è cosa che riguardi le sole macchine, si è detto, ma anche gli esseri viventi e, per l’uomo, l’organizzazione economica e sociale.

Che l’energia si conservi oggi è noto a tutti. Allora dov’è il problema energetico? Potremmo, in un prossimo futuro, trovare nuove tecnologie e recuperare l’energia già utilizzata per un secondo uso, e poi un terzo e un quarto…., restando sempre immutata la quantità totale. Una simile fortunata prospettiva, se fosse possibile, potrebbe presentarsi in modo analogo per la materia ipotizzandone il completo recupero e riciclo, eliminando così il problema dello smaltimento dei rifiuti.

Ma, ci avverte Clausius, l’entropia aumenta. Cioè l’energia si degrada, aumenta il disordine nell’universo. Cioè…..cerchiamo di capire cosa significa.

L’energia utile nelle macchine corrisponde a un movimento ordinato: il pistone si muove con un moto periodico lungo una direzione per ottenere il moto circolare delle ruote intorno a un asse; le molecole dell’aria nel vento fanno girare le pale del mulino se si muovono in un’unica direzione; se il loro moto fosse del tutto casuale non sarebbe possibile ottenere alcun movimento. Anche la vita ha bisogno di movimento e ordine. Non tanto perché il signor Rossi deve andare al lavoro e al supermercato, ma perché il sangue deve muoversi nelle vene, il seme deve raggiungere l’uovo, la foglia deve aprirsi al sole. L’ordine è necessario perché una combinazione casuale di elementi non fa né una cellula, né una farfalla, né la ghiandola pineale del signor Rossi. Del resto tutti sappiamo che il DNA è costituito da una sequenza, il cui significato dipende dalla disposizione di pochi costituenti elementari. Come sappiamo che la funzione clorofilliana, fondamento della vita sulla Terra, è una grande operazione di ordine, distribuita nelle foglie verdi del pianeta, in cui alcuni elementi vengono collocati in sequenze significative per costruire i primi "mattoni" della vita.

Ma la natura tende spontaneamente al disordine e l’entropia è proprio una misura del disordine. Se rovesciamo su di un tavolo le tessere di un puzzle, anche precedentemente composto, è molto difficile, che il puzzle risulti casualmente formato, tanto difficile che lo riteniamo impossibile. Se abbiamo due bombole, una contenente gas e una vuota, e le mettiamo in comunicazione, ci aspettiamo, come in realtà avviene dopo breve tempo, che le molecole si distribuiscano spontaneamente in modo uniforme nelle due bombole e riteniamo improbabile, anzi impossibile, che a un certo istante casualmente tutte le molecole si possano trovare "ordinatamente" in una sola bombola. È una questione di probabilità: tra i modi in cui le molecole possono ripartirsi tra le bombole comunicanti, quest’ultimo caso è solo uno fra tutti gli altri, che sono in numero inimmaginabilmente grande (per quanto calcolabile). Il disordine è più probabile dell’ordine, perciò il passaggio da ordine a disordine costituisce la tendenza spontanea di ogni fenomeno. L’entropia è appunto la grandezza scelta per fornire una misura del disordine, anche se in modo non semplice ed immediato. Dire che l’entropia aumenta significa dire muoversi verso stati fisici più probabili e quindi più disordinati e, quindi infine, con una minore quantità di energia utilizzabile.

Il passaggio inverso non è impossibile. Ad esempio, le molecole possono essere nuovamente tutte "spinte" in una sola bombola. Però bisogna spendere energia e aumentare l’entropia nell’universo, vicino o lontano. Con l’energia di una combustione realizziamo il movimento ordinato di un pistone, ma alla fine avremo, oltre allo spostamento dell’auto, il movimento casuale delle molecole presenti nelle parti riscaldate e nei gas in uscita dalla marmitta. Bruciando cibo gli animali ottengono l’energia per costruire il loro corpo ed esercitare le loro funzioni, ma la produzione di cibo è avvenuta a spese di una quantità di energia maggiore di quella utilizzata e, successivamente, con la morte la materia perde la sua organizzazione.

Ma i possibili ordini non sono tutti uguali. C’è l’ordine dei movimenti delle macchine, capaci di imporsi anche ai movimenti dell’operaio Chaplin di "Tempi moderni", a monte della cultura che produce il rigido conato di razionalità delle villette a schiera. Un ordine ripetitivo, funzionale alla produzione per il consumo e non alla conservazione, che non può prevedere novità e cambiamenti, incapace di apprendere dall’interazione con il mondo circostante e quindi di evolvere. Un ordine che fa scrivere al poeta:

ciò che era
area erbosa, aperto spiazzo, e si fa
cortile bianco come cera (…)
in un ordine ch’è spento dolore.

Ma c’è anche l’ordine che costruisce i sistemi complessi della vita, come abbiamo visto. Questi sono sistemi che sanno riprodursi, il cui destino dipende da quanto sanno apprendere dalle relazioni con il mondo esterno per organizzarsi, modificarsi ed evolvere per mantenere il proprio equilibrio con quel mondo.

Tutto ciò è faticoso, è una vittoria ottenuta con il consumo di energia per creare localmente l’ordine necessario (calo di entropia) mentre intorno inevitabilmente aumenta il disordine (aumento di entropia, degrado dell’energia). Mentre nella foglia nascono ordine e vita, in un altro luogo, dove si produce l’energia necessaria, dove al suolo la natura morta si decompone, aumenta il disordine in un bilancio complessivo sempre a suo favore. Una fatica e una vittoria che illuminano l’eccezionalità e la preziosità della vita sul pianeta e sui suoi delicati equilibri, che impone la necessità di assumere una posizione solidale in sua difesa, cioè in nostro favore.

Una grande responsabilità questa, da assumere senza rinvii perché i danni non sono rimediabili. La logica del recupero, per quanto talvolta necessaria, non funziona perché il tempo ha una "freccia", si muove in una sola direzione, quella appunto dell’aumento di entropia, senza ritorno. Anche spendendo energia e denaro non si vince l’irreversibilità dei processi naturali, non è come riparare la ruota forata e ripartire. Se si tagliano gli alberi in Amazzonia per fare posto ai pascoli necessari agli hamburger di Mc Donald, non solo di sottrae ossigeno all’atmosfera, ma si rompe anche definitivamente l’equilibrio tra vegetazione e suolo raggiunto in milioni di anni. Il suolo si polverizza nell’aria e si perdono foreste, pascoli e hamburger. Bisogna tagliare ancora, ma fino a quando? Intanto anche le specie estinte non si possono riprodurre, neanche in laboratorio, e il suolo non si ricostituisce più. E là dove l’opera dell’uomo ha raggiunto un equilibrio con la natura, come nelle terrazze a ulivo dei nostri colli, una volta iniziata non può essere sospesa: l’abbandono non porterebbe stabili pendii coperti di vegetazione, quali originariamente erano, ma solo degrado e dissesto idrogeologico.

Allora attenzione a quello che facciamo. Un mondo diverso è necessario, un mondo a bassa entropia. Non è facile politicamente, non è facile culturalmente.

Dopo millenni di uso quasi esclusivo della sola energia umana e animale, negli ultimi due secoli le nuove conoscenze hanno consentito l’utilizzo di quantità di energia enormemente superiori, ampliando in proporzione la produzione agricola e industriale e, di conseguenza, la possibilità di vita dell’uomo. Ma il processo è avvenuto all’interno di una cultura in cui la conoscenza della natura è stata premessa, autorizzazione e strumento della sua conquista, della presa di possesso e utilizzo senza limiti, della impossibile sottomissione delle leggi naturali a presunte leggi umane, in realtà proprie del sistema economico e politico che si è imposto a livello planetario. Una cultura che subito ha saputo riconoscere l’importanza di una prima parte delle scoperte termodinamiche, le potenzialità delle trasformazioni energetiche, ma ha ignorato e ignora, perché così le conviene, l’avvertimento della seconda parte, l’entropia aumenta, pur essendo le due informazioni contestuali e correlate. Un’illusione, quella della crescita energetico–produttiva senza limiti, che ha colpito anche la cultura attenta ai valori del progresso e della giustizia sociale.

L’inevitabile aumento di entropia non è la fine del mondo: sulla Terra possiamo vivere in tanti, con una vita dignitosa e potenzialmente felice per tutti. Lasciamo, e non sarà facile, un’economia, una politica, una cultura che guardano solo al PIL, tanto più soddisfatte quante più risorse si sono consumate, senza considerare quante e quali risorse sono disponibili per il futuro, come farebbe nel suo bilancio ogni famiglia di buon senso. Poniamoci l’obiettivo immediato di una riduzione dei consumi, anche attraverso l’uso razionale dell’energia e l’utilizzo del flusso energetico che arriva ogni giorno dal sole.

La cultura del proprietario del pianeta appartiene a un passato colonizzatore che si ostina a non finire, sostenuto da potenti interessi economici di pochi, aggiornati nelle forme e spacciati per interessi generali. Se crediamo nella solidarietà con gli uomini di oggi e di domani, se vogliamo stare meglio noi stessi, dobbiamo cercare una cultura rispettosa e amichevole nei confronti della natura: conoscere per migliorare le relazioni, dall’utilizzo possibile delle risorse ai benefici in termini di benessere che la natura ci può dare quando riconosciamo di esserne parte.

Alleggeriti, senza alcuna nostalgia, della presunzione di onnipotenza e totale possesso nei confronti del mondo naturale, lasciata l’illusione che il progresso tecnologico consentirà sempre di risolvere tutti i problemi, li sapremo meglio affrontare.

Archivio (online o pdf):

  1. pdf L’Albero Pazzo 2
    Maggio 2002
  2. pdf L’Albero Pazzo 3 - 4
    Luglio 2002
  3. pdf L’Albero Pazzo 5
    Novembre 2002
  4. pdf L’Albero Pazzo 6
    Febbraio 2003
  5. pdf L’Albero Pazzo 7
    Aprile 2003
  6. pdf L’Albero Pazzo 8 - 9
    Luglio - Agosto 2003
  7. pdf L’Albero Pazzo 10 - 11
    Dicembre 2003
  8. pdf L’Albero Pazzo 12
    Settembre 2004