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Sommario:

  1. Editoriale
  2. Il lavoro perduto
  3. Il dopoguerra
  4. Acqua chiara acqua amara
  5. Territori globali
  6. Energie
  7. Il mondo in una stanza
  8. Le Associazioni a Pisa (parte seconda)
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Medio Oriente: acqua e conflitti

di

Fulvio Grimaldi

C’è un aspetto poco noto e poco illustrato della questione mediorientale, ma che ne è al centro, quanto il petrolio e, alla lunga, più del petrolio: la corsa all’acqua e l’uso dell’acqua come arma strategica di distruzione di massa e, prima, di ricatto totale. Dall’oceano sotterraneo di acqua dolce in Libia al Nilo disputato tra Etiopia, Sudan ed Egitto, dal Giordano al Litani, bacini d’espansione israeliana sottratti a Siria, Palestina e Libano; fino ai grandi fiumi e laghi del Caucaso, dell’Asia Centrale, e a quelli che scendono dalle catene himalajane. Cuore di tutta l’area e nervo maggiormente scoperto della contesa per l’acqua, i due grandi fiumi che originarono con la loro creatività biologica e culturale tutta la civiltà occidentale, da seimila anni, dai sumeri della scrittura agli assirobabilonesi del diritto: i fiumi della "mezzaluna fertile", il Tigri e l’Eufrate. Due immensi, instancabili benefattori che oggi il Nuovo Ordine Mondiale e i suoi giannizzeri stanno trasformando in strumento decisivo per la soluzione finale nel trionfante processo di normalizzazione neo–neocoloniale del mondo arabo, la liquidazione di 20 milioni di iracheni. Con il corollario di una botta risolutrice anche a quegli ostinati trattativisti di siriani. Nei colloqui siro–israelo–americani di Washington, molto si è parlato del Golan e poco di questi due fiumi. E pochi hanno riferito della richiesta di Ankara agli Stati Uniti – poi smentita con scarsa convinzione dai due governi – di mantenere la Siria sulla lista degli "stati cattivi", di quelli che appoggerebbero il terrorismo e dunque non meriterebbero nessun trattamento privilegiato da parte della "comunità internazionale", anzi. Secondo i turchi, Damasco non avrebbe affatto rinunciato ad appoggiare sotterraneamente il PKK di Ocalan e vorrebbe utilizzare quel suo milione di curdi per premere sulla Turchia e impedirle di utilizzare le "sue" acque come le pare e piace. (…) Con spudorata sincerità, i turchi non si sono fatti scrupolo di definire il loro controllo sulle acque "una nuova fonte di potere politico, economico e strategico" (Ahmet Acar, presidente dell’Ente turco per i trasporti, il commercio e il turismo). Alle obiezioni della Siria al controllo esclusivo turco sulle acque di Tigri ed Eufrate, Ankara ha risposto con una provocazione: se ne può discutere a condizione che voi permettiate a una commissione turca di stabilire quali coltivazioni siano idonee ad un equo uso di queste acque durante il loro passaggio in Siria. Si tratterebbe, ovviamente, di colture che richiedono poca irrigazione e sono da tempo scartate dal quadro agricolo siriano come

non adatte all’economia domestica e d’esportazione. (…) Ai siriani resta qualche potere contrattuale, grazie all’illegittima occupazione israeliana del Golan, il proprio controllo sul Libano e sui guerriglieri Hezbollah, il fatto di essersi conquistati credito schierandosi con i ricchi e prepotenti del mondo nella distruzione dell’Iraq. Agli iracheni non resta niente e quelli che fra qualche anno non saranno morti grazie alla lungimiranza dei bombaroli all’uranio 238, alla fame e alle malattie da embargo, non c’è dubbio alcuno che moriranno di sete. Sempre che quei pezzi di mondo che rifiutano di entrare nella cosca detta "comunità internazionale" e di ottemperare al decalogo del ras dell’economia globale finanziarizzata, George Soros, quelli che si sono fatti sentire a Seattle, non si muovano per porre fine a quel nuovo medioevo che è la presa della città nemica per fame, sete e peste. Il Tigri origina nelle montagne nord–orientali della Turchia, dalla zona del lago Van. È lungo 1.900 chilometri dei quali ben 1.415 scorrono in territorio iracheno. L’area del suo bacino è di 235.000 km2, di cui il 45% è iracheno. In Iraq dipendono interamente dalle sue acque i governatorati di Dahuk, Erbil, Sulaimaniya in Curdistan e di Tàmeem, Niniveh, Slahedin, Diyala, Baghdad, Wasit, Meesan e parte del governatorato di Bassora. L’Eufrate nasce dalle catene montuose dell’Anatolia orientale, passa attraverso la Siria e scorre in Iraq per 1.160 dei suoi 2.940 chilometri. L’area del bacino è di 444.000 km2, col 40% in territorio iracheno. Il flusso d’acqua in Iraq ammontava fino al 1970 a 30,3 miliardi di metri cubi, sceso nel 1974, durante il riempimento della diga di Al–Tabqa in Siria, e durante quello della diga di Ataturk in Turchia nel 1990 ad appena 9.020 milioni di metri cubi, con la conseguenza della perdita di milioni di ettari di terra coltivabile non più irrigata e di una carestia che costò la vita a migliaia di persone. La gestione delle acque dei fiumi definiti internazionali perché il loro corso attraversa più stati è affidata a precise norme codificate da numerosi trattati, convenzioni (Ginevra) e sentenze giurisprudenziali. Della distribuzione tra i suoi tre paesi delle acque dei due fiumi l’Iraq ha tentato di discutere con la Turchia fin dalla firma di un trattato di amicizia tra i due paesi nel 1946, ai tempi della monarchia sponsorizzata dagli inglesi. Dopo la rivoluzione del 1958 e la presa del potere da parte del partito Baath (Arabo Socialista) in Iraq e Siria, i successivi regimi turchi non hanno offerto che orecchie da mercante, tirando i negoziati per infinite sessioni dal 1960 ad oggi e concludendo regolarmente con l’assunto imperialistico che "le acque sono mie e le gestisco io". Il grande sviluppo dell’agricoltura irachena, che prima della guerra del Golfo era riuscita a soddisfare il 40 per cento del fabbisogno alimentare nazionale ed aveva creato un sistema irriguo cui venivano a ispirarsi addirittura paesi del primo mondo, è stato bloccato dai bombardamenti, che continuano tutt’oggi, eminentemente su obiettivi civili, e del tutto vanificato dall’embargo che ha ridotto, negando pezzi di ricambio, tutto l’Iraq ad un immenso cimitero di rottami industriali ed agricoli. Basti pensare che dei 6.000 mezzi per costruzioni stradali ne restano 300 e dei 27.000 mezzi agricoli pesanti ne sono attivi oggi appena 227. La mazzata finale (…) verrà però col Gap, il gigantesco progetto idroelettrico del Sud–Est Anatolia destinato ad irrigare milioni di ettari per monocolture intensive, funzionali alle imprese turche e americane: 22 dighe, 19 centrali idro–elettriche e un numero sterminato di gallerie, canali ed altre opere d’irrigazione. Il complesso renderà minuscola la diga di Ataturk (1990), che pure è una delle più grandi del mondo (48 milioni di metri cubi) e da cui si diparte ora una galleria che ne trasferisce le acque, illegalmente secondo le norme internazionali, verso distanze remotissime, fuori dall’area del bacino dell’Eufrate. Quando quel mostro ecologico del Gap (Guneydogu Anadolu Project) sarà completato, l’Iraq vedrà la sabbia del deserto riconquistare la massima parte dei suoi 11 milioni di ettari di terra arabile, una terra mirabilmente irrigata da almeno 6000 anni ed a cui dobbiamo conquiste decisive della nostra civiltà, dall’organizzazione statale al fisco e all’assetto urbanistico, dalla matematica alla filosofia e alla legge uguale per tutti. Già le dighe costruite a tappe forzate in Turchia, ben al di là del fabbisogno nazionale e, comunque, nel totale disprezzo degli altri paesi ripariali e dei loro sacrosanti diritti, hanno, come è successo in Egitto a valle della diga di Assuan (che ora qualche pazzo vorrebbe raddoppiare con un canale parallelo al Nilo), provocato un enorme aumento di salinità e di inquinamento sui terreni iracheni, in un momento in cui l’embargo vieta l’importazione di qualsiasi tecnologia di bonifica, addirittura per il killer seriale Uranio 238, figuriamoci per le porcherie spedite giù dagli amici turchi. Con tutto che la massima parte del Tigri scorre in Iraq, questo paese al momento riesce malapena ad irrigare e coltivare 2.178.000 ettari di terreno, mentre alla Turchia, per il suo fabbisogno agricolo, era sufficiente irrigarne 26.000 ettari. I corrispondenti numeri dell’Eufrate sono 1.370.000 ettari e 62.500 ettari, la differenza essendo dovuta soprattutto alle diverse condizioni climatiche, con abbondanti precipitazioni in Turchia e piogge sotto i 400 millimetri annui in Iraq (presso lo zero assoluto nella parte meridionale del paese). Per ogni miliardo di metri cubi d’acqua che la Turchia tratterrà nel suo nuovo sistema, si perderanno in Iraq 62.500 ettari di terra agricola (fonte: Ministero dell’Agricoltura iracheno, Dipartimento dell’Irrigazione, Fao, Wfp, Unicef). Per quegli iracheni che non se ne vanno con i tumori delle radiazioni, o la fame e le malattie da embargo, ce n’è quanto basta per farla finita senza che si produca troppo rumore. È il destino di chi si trova a valle, ma non vuole vivere con le brache alle caviglie.

da Materiali resistenti

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