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I mapuche in Cile sono più di un milione e mezzo, mentre in Argentina ne vivono circa 200.000, distribuiti a sud della provincia orientale di Buenos Aires e La Pampa, a Neuquén, Chubut e Santa Cruz, ossia l’intera regione a sud del paese conosciuta come Patagonia. Tuttavia, Endepa riconosce che il 94 per cento dei mapuche ammette di non avere titoli di proprietà sulle terre in cui vive. Questa precarietà deve essere appianata dalle autorità, dato che la riforma costituzionale del 1994 prevede il riconoscimento dei diritti di proprietà degli aborigeni. Le comunità mapuche, come quelle di altre etnie indigene del paese, reclamano invano che gli vengano concessi i titoli di proprietà e denunciano sgomberi arbitrari e costanti, senza che le autorità comunali, provinciali o nazionali intervengano in loro favore. Nello stabilimento Benetton di Chubut si trova il museo di Leleque, la cui prima sala è dedicata alla memoria dei popoli originari. Si racconta la loro storia ancestrale e le loro peripezie dalla conquista spagnola nel XV° secolo, così come la lotta per le loro terre.
Nonostante le pubblicità di sensibilizzazione e l'immagine di una grande famiglia piena di maglioni colorati, la società Benetton sta mostrando il suo vero volto accanendosi, al fine di espropiarne i terreni, contro il popolo Mapuche. In Patagonia, ora la chiamano "United Colours of Land Grab", gli ArraffaTerra. Le sue campagne pubblicitarie che rappresentavano malati di Aids e carcerati nel braccio della morte sono ormai un ricordo sbiadito, ma la società d’abbigliamento Benetton si è imposta nell’immaginario pubblico come una sorta di avanguardia appassionata e progressista. Il suo slogan "United Colours of Benetton" incapsula questa sua visione del mondo in un’immagine di unica, grande e felice famiglia piena di maglioni colorati. Adesso, tuttavia, il gruppo è diventato il bersaglio di feroci critiche in Argentina in seguito al tentativo (riuscito) di cacciare dai terreni della società una povera famiglia indigena. Ora la chiamano "United Colours of Land Grab" (Arraffaterra, NdT). La Benetton divenne il più grande proprietario terriero dell’Argentina nel 1997, quando acquistò 900.000 ettari di terreni in Patagonia, l’immensa area deserta nell’estremo sud del paese, resa famosa dai diari di viaggio di Bruce Chatwin. Deserta e vuota è come appare questa distesa per via delle vaste vedute indifferenziate che offre, ma è priva di abitanti solo perché i grandi possidenti coloniali hanno agito e fatto in modo che restasse tale per 500 anni. I brillanti, coinvolgenti e filantropi fratelli Benetton giunsero solo alla fine di una storia lunga e notevolmente spietata. Il popolo indigeno dei Mapuche, chiamati anche Gente de la Tierra (Gente della Terra) si è stabilito in Patagonia da 13.000 anni, secondo gli storici. Ma furono cacciati via da queste terre e ridotti in povertà dagli spagnoli, e da allora hanno subito continue invasioni, massacri ed espropri di terra. L’episodio più clamoroso si verificò nel 1879, quando furono uccisi più di 1.300 mapuche e i loro terreni vennero confiscati per consegnarli ai coloni britannici. Le riforme per la creazione di un libero mercato, sostenute dal Presidente Carlos Menem negli anni ’90, incoraggiarono nordamericani ed europei facoltosi ad accorrere in Patagonia, tentati dai prezzi bassi e dalla fresca open economy argentina; tra i nuovi proprietari terrieri figurano celebrità come Sylvester Stallone, Ted Turner, Jerry Lewis e George Soros. Quando la Benetton, o più precisamente la sua holding finanziaria Edizione Holding Spa (sempre di proprietà della famiglia), rilevò nel 1991 la società britannica Compania Tierras Sud Argentina, divenne la maggiore possidente del paese. Gran parte della sua terra venne usata per far pascolare 280.000 pecore, la cui lana veniva utilizzata direttamente per produrre i maglioni della ditta. E per dimostrare che i nobili sentimenti della società non erano cambiati, nel 2002 la Benetton aprì il Museo Leleque, nel villaggio che porta lo stesso nome, "per narrare la cultura e la storia di una terra leggendaria". Divenne poi noto ciò che disse Carlo Benetton nel momento in cui prendeva possesso dei propri domini: "La Patagonia mi dà un’incredibile sensazione di libertà". Ma la Benetton sembra invece dare ai suoi vicini Mapuche sopravvissuti un’incredibile sensazione di reclusione. Atilio Curinanco è nato a Leleque, a meno di un chilometro dal luogo in cui oggi sorge il nuovo museo Benetton. Si trasferì con la moglie Rosa e i quattro figli nella vicina città di Esquel per cercare lavoro ma, messo in ginocchio come tanti altri dalla tremenda recessione che seguì la crisi argentina del 2001, decise di tornare alla terra natale, tentando di racimolare il necessario per vivere in maniera tradizionale. Lui e sua moglie misero gli occhi su un terreno disabitato di 300 ettari, chiamato Santa Rosa, terra che tradizionalmente apparteneva ai mapuche e che era situato accanto a una tenuta dei Benetton. Nel dicembre 2001 si recarono all’Instituto Autaqquico de Colonizacion (IAC), ente fondiario statale, per chiedere il permesso di occupare quel terreno. Otto mesi dopo, nell’agosto 2002, lo IAC disse loro che la proprietà "era stata dichiarata area commerciale", e che l’ente intendeva "riservarla a una micro-impresa". Il signore e la signora Curinanco lo intesero come un via libera: si presentarono alla stazione di polizia locale per dichiarare che avevano intenzione di prendere possesso di quella terra, e nello stesso giorno si trasferirono là con un gruppo di amici e iniziarono a lavorarci. Come disse in seguito la signora Curinanco: "Ci siamo recati in quella proprietà senza far male a nessuno. Non abbiamo tagliato nessuna recinzione. Non ci siamo nascosti. Aspettavamo solo che qualcuno venisse e ci facesse sapere se lo disturbavamo". In meno di un mese, tuttavia, la "Compagnia" (come è conosciuta la Benetton tra la gente del posto) notificò alla coppia che quel terreno era di sua proprietà e che intendeva riprenderselo. In meno di due mesi arrivò la polizia, confiscò i loro oggetti personali e smantellò la loro nuova casa. Ma vennero trascurati i risvolti svantaggiosi della vicenda, e infatti non stava affatto mettendo bene per l’immagine aziendale della Benetton, accuratamente costruita e promulgata nei suoi 7.000 punti vendita in più di 120 paesi. Non appena la storia arrivò alle orecchie della stampa, nel novembre 2002, il vicepresidente della Compagnia incontrò i Curinanco e tentò di strappare loro un accordo: la Benetton avrebbe lasciato cadere le accuse contro di loro, disse lui, se avessero smesso di coltivare la terra. I Curinanco rifiutarono. Il mese scorso, il caso è arrivato in tribunale nella provincia meridionale di Chubut, con la coppia costretta a difendersi dall’accusa di usurpazione. Dopo che i primi due testimoni della Benetton hanno ritrattato la loro precedente deposizione e hanno negato che la coppia avesse tagliato le recinzioni o che fosse entrata nella proprietà di notte, l’accusa penale è caduta. Ma alla famiglia è stato detto che deve comunque abbandonare il terreno, perché questo appartiene alla Compagnia. Oggi, quasi due anni dopo lo sfratto, il terreno è ancora disabitato e inutilizzato. "Per noi, la democrazia non è ancora arrivata", ha commentato tristemente Mauro Millan, leader dei mapuche, subito dopo l’udienza.
Riceva il mio saluto di Pace e Bene.
Le scrivo questa lettera, che spero legga attentamente, tra lo stupore e il dolore di sapere che Lei, un imprenditore di fama internazionale, si è avvalso del denaro e della complicità di un giudice senza scrupoli per togliere la terra ai fratelli Mapuche, nella provincia di Chubut, nella Patagonia Argentina.
Vorrei ricordarle che Mapuche significa Uomo della Terra e che esiste una comunione profonda tra la nostra Pachamama, "la Madre Terra", e i suoi figli. Tra le braccia di Pachamama ci sono le generazioni che vissero e che riposano nei tempi della memoria. Deve sapere che quando si toglie la terra ai popoli nativi li si condanna a morte, li si riduce alla miseria e all’oblio. Ma deve anche sapere che ci sono sempre dei ribelli che non zoppicano di fronte alle avversità e lottano per i loro diritti e la loro dignità come persone e come popolo. Continueranno a reclamare i loro diritti sulle terre perchè sono i legittimi proprietari, di generazione in generazione, sebbene non siano in possesso dei documenti necessari per un sistema ingiusto che li affida a coloro che hanno denaro.
É difficile capire quello che dico, se non si sa ascoltare il silenzio, se non si è in grado di recepire la sua voce e l’armonia dell’universo che è una delle cose più semplici della vita. Qualcosa che il denaro non potrà mai comperare.
Quando giunsero i conquistatori, gli "huincas" (i bianchi), massacrarono migliaia di popoli "con i loro pali di fuoco" perpetrando etnocidio per appropriarsi della loro ricchezza e rubando loro terra e vita. Purtroppo questo saccheggio continua fino a oggi.
Signor Benetton, Lei ha comprato 90 mila ettari di terra in Patagonia per accrescere la sua ricchezza e potere e si muove con la stessa mentalità dei conquistatori; non ha bisogno di armi per raggiungere i suoi obiettivi ma uccide, con la stessa forma, usando il denaro. Vorrei ricordarle che "non sempre ciò che è legale è giusto, e non sempre quello che è giusto è legale".
Vorrei dirle che Lei ha tolto, con la complicità di un giudice ingiusto, 385 ettari di terra, con la armi del denaro, a un'umile famiglia Mapuche con una dignità, un cuore, una vita; loro sono Atilio Curiñanco e Rosa Nahuelquir proprietari legittimi da sempre, per nascita e per diritto dei loro padri.
Vorrei farle una domanda, signor Benetton: Chi ha comprato la terra a Dio?
Lei sa che la sua fabbrica dagli abitanti del luogo è chiamata "la gabbia", cinta con fil di ferro, che ha rinchiuso i venti, le nubi, le stelle, il sole e la luna. È scomparsa la vita perchè tutto si riduce al mero valore economico e non all’armonia con la Madre Terra.
Lei si sta comportando come i signori feudali che alzavano muri di oppressione e di potere dei loro latifondi.
A Treviso, quel bel paese nel nord Italia, dove Lei ha il centro delle sue attività, non so quello che pensano i cittadini e le cittadine riguardo alle sue azioni.
Spero che reagiscano con senso critico e pretendano che Lei agisca con dignità e restituisca questi 385 ettari ai legittimi proprietari.
Sarebbe un gesto di grandezza morale e le assicuro che riceverebbe molto di più che la Terra: la grande ricchezza dell'amicizia che il denaro non potrà mai comprare.
Le chiedo, signor Benetton, che viaggi in Patagonia e che incontri i fratelli Mapuche e che divida con loro il silenzio, gli sguardi e le stelle.
Credo che il luogo che con la sua presenza chiamano "La gabbia", verrebbe chiamata "L’amico" e la gente di Treviso sarebbe onorata di avere nel suo paese una persona con il cuore aperto alla comprensione e alla solidarietà.
La decisione è sua. Se decide di restituire la terra ai fratelli Mapuche mi impegno ad accompagnarla e dividere con Lei e ascoltare la voce del silenzio e del cuore.
Tutti siamo di passaggio nella vita, quando arriviamo siamo in realtà in partenza e non possiamo portare niente con noi.
Possiamo, però, lasciare al nostro passare le mani piene di speranza per costruire un mondo più giusto e fraterno per tutti.
Che la Pace e il Bene la illumini e le permettano di trovare il coraggio per correggere i suoi errori.
"Restituite la terra agli indios mapuche" Adolfo Perez Esquivel chiede all'imprenditore veneto Luciano Benetton un gesto dopo la sentenza che ha dato ragione all'azienda di Treviso
"Cio che chiedo è un gesto di solidarietà, un atto di altruismo verso questa famiglia mapuche che, cacciata dalla sua terra, non ha altro futuro che la povertà e la fame. Luciano Benetton deve capire che è stato coinvolto in una ingiustizia". Appena conosciuta la sentenza che ha dato ragione all'imprenditore veneto nella causa contro una famiglia di indios mapuche, il leader delle lotte per i diritti umani e premio Nobel per la pace nel 1980, Adolfo Perez Esquivel, ha preso carta e penna e ha scritto un appello contro quella che definisce "una vergognosa truffa ai danni degli indios della Patagonia". La ragione del contendere è un appezzamento di 385 ettari che fanno parte dei 900mila acquistati dall'azienda italiana in Argentina.
D: Eppure, don Adolfo, non c''è nulla di legalmente sbagliato in quella sentenza, i Benetton
hanno i titoli di proprietà di quella terra e li hanno comprati dallo Stato argentino o no?
R: "Non è di questo che si discute. E’ evidente che c'è una responsabilità del
governo argentino che, invece di concedere i titoli di proprietà ai mapuche, li vende ai capitalisti
stranieri. Ma quella terra è dei mapuche per diritto storico, sono loro che la abitano da secoli, se la legge
non lo riconosce e dà ragione a Benetton per me vuol dire soltanto che la legge è sbagliata".
D: Secondo il suo ragionamento anche l'azienda italiana è stata vittima di una truffa?
R: "Certo, infatti non è Benetton il nostro nemico. Io voglio soltanto che si renda conto che
è complice di una ingiustizia e gli offro il mio aiuto per ripararla".
D: Ma se le cose stanno così qualsiasi imprenditore straniero che investe in Argentina rischia
di trovarsi coinvolto in un caso del genere che finisce per danneggiare la sua immagine internazionale?
R: "Si, purtroppo. Sta accadendo la stessa cosa in un'altra regione del mio paese. A Salta, nel
nord, dove la provincia ha venduto della terra ad un’impresa americana che produce soia geneticamente
modificata. Ci sono andato la settimana scorsa, numerose famiglie indigene sono state cacciate dalle terre demaniali
in cui vivevano perché sono vendute all'impresa. Il giudice ha firmato gli ordini di sgombero. Ci mandano
l'esercito".
D: I conflitti sulla proprietà della terra sono un tema secolare. Tutta l'America Latina
moderna nasce dall'esproprio delle terre degli indigeni, e dal loro sterminio, da parte dei conquistatori spagnoli e
portoghesi. Non crede che le democrazie contemporanee dovrebbero affrontare la questione con ben altro sforzo per
trovare una soluzione giusta?
R: "Indubbiamente, per questo nel mio appello chiedo a Benetton un gesto che definisco
"storico". Se un grande imprenditore come lui si rende conto della profonda ingiustizia che c'è dietro alla
sentenza del Tribunale che gli ha dato ragione, darebbe un segnale dirompente contro tutta la politica di
sfruttamento sofferta dagli indigeni. Per Benetton quei 385 ettari non rappresentano nulla, per la famiglia di
Attilio Curiñanco sono nientemeno che la vita".
D: Nell'appello lei dice di voler incontrare Benetton e di essere disposto a venire in Italia per
questo.
R: "Sono certo che il dottor Benetton abbia agito in buona fede e per questo voglio incontrarlo e
raccontargli la storia di quelle terre e delle comunità Mapuche che le abitano da secoli. Sono sicuro che
comprenderà l'atroce ingiustizia che è stata commessa e che agirà di conseguenza. Non in base alla
legge ma in base alla morale e alla ragion etica".
D: E se questo non dovesse succedere?
R: "Non credo che convenga a nessuno. La comunità dei mapuche è pronta a dare battaglia e
noi porteremo il caso alla Corte di giustizia inter-americana e in tutte le sedi internazionali che si occupano dei
diritti umani. Non vogliamo danneggiare l'immagine dell'azienda italiana ma se non dovessimo avere altra
opzione… "