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D: Che giudizio dai sul nuovo partito della Sinistra Europea?
R: Dato che si parla di Europa c’è la necessità di espressioni politiche che
rappresentino le idee e gli elettori di tutto il continente. Questo non è una novità assoluta dal momento che
ci sono sempre state forme di coordinamento internazionale dei filoni di pensiero più vicini fra loro. Per esempio,
l’Internazionale socialista è sempre esistita. Non esisteva sotto forma di partito che si presenta alle
elezioni in tutti gli stati perché non se ne sentiva ancora il bisogno, dato che si stava ancora all’interno
degli stati nazionali. Nel momento in cui si va verso entità plurinazionali mi pare che questo passaggio sia nella
logica delle cose.
D: Bertinotti ha sottolineato il fatto dello stare insieme da parte di culture diverse, partiti che si
richiamano all’esperienza del partito comunista e movimenti alternativi che nulla hanno a che fare con questa
cultura. Qual è il tuo giudizio su questo?
R: Beh, è necessario un sostrato di cultura omogenea altrimenti non si capisce come potrebbero
stare insieme. Secondo me il problema è il partito nel senso tradizionale del termine che affonda le sue radici in
un certo tipo di pensiero. E’ lui che deve fare il salto, non i movimenti che proprio per loro definizione nascono
nel momento storico in cui vivono, e molto spesso per dare risposte fin troppo parziali rispetto all’insieme dei
problemi che abbiamo di fronte a noi. Potrebbe essere un matrimonio interessante nella misura in cui il partito
tradizionale riesce a capire quali sono i limiti del suo fondamento ideologico e si rende conto che può solo
arricchirsi con l’apporto dei nuovi movimenti che vivono invece il loro tempo. Fra l’altro i movimenti
stanno cercando di uscire dal loro particolarismo tentando in qualche maniera di avere una visione più generale
delle cose. Ma è ovvio che ci deve essere un sostrato di valori comuni di partenza altrimenti non nasce niente.
D: Invece sul piano dei contenuti quali sono quelli su cui un partito di questo genere dovrebbe
lavorare fin dall’inizio?
R: Secondo me dovrebbe tentare di coniugare sostenibilità ed equità. Quando parlo di
equità parlo sia a livello nazionale che a livello di confederazione europea. Sapendo che noi abbiamo un obbligo
particolare perché siamo la parte ricca del mondo e dobbiamo cominciare a limitare la costruzione della nostra
ricchezza. La vera sfida è proprio questa: riuscire a costruire una nuova economia, a partire da un’economia
della crescita per arrivare ad un’economia del limite. Questo è fondamentale sia dal punto di vista
ambientale, sia nei confronti dei popoli del sud, che ancora non riescono a soddisfare nemmeno le necessità
fondamentali, sia, infine, nei confronti delle generazioni future. Tutto questo va coniugato con la capacità di
soddisfare i diritti fondamentali anche qui da noi. Abbiamo la necessità in futuro di aprire un dibattito nuovo,
sulla prospettiva dell’economia del limite che sappia davvero coniugarsi con la capacità di costruire piena
occupazione e diritti fondamentali per tutti. Questa è una grande sfida su cui la sinistra è ancora molto
indietro, e non ha ancora capito che la deve affrontare.
D: Sulla questione della guerra pensi che sarebbe giusto riportare l’art.11 della nostra
Costituzione nella nuova costituzione europea?
R: Penso senz’altro di si. E’ stata una conquista civile fondamentale quella di affermare
che i conflitti non devono essere risolti attraverso la guerra. Tanto più che oggi non assistiamo a dei conflitti
intesi in senso classico, ma stiamo tornando alle aggressioni vere e proprie, alle guerre di tipo coloniale.
D: E’ stato detto anche che l’Europa deve cercare di preservare il proprio modello sociale
contro quello degli USA. Ma va tutto così bene in questo modello europeo?
R: No. Questo valeva fino ad una decina di anni fa. Ora mi sembra che il modello americano abbia vinto
come impostazione e l’Europa stia correndo a grandi passi verso questo modello. L’America e l’Europa
devono riscoprire il modello di socialdemocrazia, di sicurezza sociale che in Europa avevamo fino ad una decina di anni
fa.
D: Una delle cose che è stata detta all’atto della sua costituzione è che questo nuovo
partito deve rappresentare la parte più debole e sfruttata della società. Oggi chi sono i nuovi proletari?
R: Direi che sono senz’altro i disoccupati, i sottooccupati, gli immigrati, ma anche i pensionati
che non arrivano più ad un reddito sufficiente per vivere dignitosamente. In una parola sono tutti coloro che non
hanno più la garanzia dei propri diritti, sapendo che i diritti comprendono un ventaglio di situazioni abbastanza
ampio. Però credo che al di là di questo abbiamo degli interessi che vanno oltre gli schieramenti di classe
tradizionale. Il pianeta che sta collassando è qualcosa che ormai riguarda tutti, ricchi e poveri, e la questione
ambientale inevitabilmente si ricollega alla questione sociale e alla questione economica. Quindi non si può
più concepire la questione ambientale come un problema a sé stante perché è direttamente connessa al
modello di sviluppo ed entrambe le cose sono strettamente connesse alla qualità della vita e alla garanzia dei
diritti. Bisogna quindi costruire un’altra economia che abbia la capacità di garantire tutto questo. I
problemi cambiano e bisogna avere la capacità di individuarli ed affrontarli con argomentazioni nuove che vanno al
di là dei vecchi schieramenti.
D: Un’ultima cosa. C’è una frase che mi ha colpito al congresso di costituzione della
SE ed è una cosa che ha detto il rappresentante di Izquierda Unida, e cioè, più o meno, che
"bisognerà guardare non più il mondo con gli occhi dell’Europa, ma guardare l’Europa da
fuori". Cosa ne pensi di questa affermazione?
R: Mi piacerebbe guardare l’Europa soprattutto dalla parte dei paesi che l’Europa ha
conquistato ed oppresso fino ad ora e che in qualche misura continua a calpestare ed opprimere ancora oggi, con la
difesa degli interessi delle sue imprese agroalimentari, con la questione dei servizi, dell’acqua, degli
investimenti, dei brevetti. Io vedo una contraddizione in questa Europa che difende le sue multinazionali. Bisognerebbe
che l’Europa chiarisse a sé stessa prima di tutto chi vuole rappresentare. Perché sappiamo bene che oggi
rappresenta prevalentemente l’Europa degli affari. Questa è la sua storia d’altra parte. Essa è
nata come un’unione economica, non è nata come un’unione politica e sociale. E’ stato il
tentativo di avere un mercato più ampio per garantire le proprie imprese di medie e grandi dimensioni e farle
crescere e competere con i colossi americani. Io credo quindi che bisogna capire quali sono gli interessi degli altri
popoli, abbandonare una politica miope che serve solo a garantire le proprie imprese ed entrare nell’ottica
dell’equità e della sostenibilità internazionale e della cooperazione.