<= Date corpo alla giustizia, all... | Stili di vita |
La realtà è che il Nord ha un grande debito verso il Sud, anche se non è facile stabilirne l’ammontare in termini monetari. Lo dimostrano in modo documentato e ragionato Miquel Ortega Cerdà e Daniela Russi, autori di "Debito ecologico, chi deve a chi?" (edizioni EMI, 2003, 7 euro). È un libro agile che presenta dati e riflessioni essenziali, assolutamente necessari per capire il mondo della globalizzazione, di questa globalizzazione. Originale e utile anche l’impostazione "didattica": una grafica chiara e pulita aiuta a cogliere i nodi del problema, ogni capitolo si chiude con alcune domande-riassunto e con molte indicazioni di approfondimento.
Il debito ecologico viene definito come "il debito contratto dai paesi industrializzati verso gli altri paesi a causa dello sfruttamento passato e presente delle risorse naturali, dei danni ambientali esportati, del libero utilizzo dello spazio ambientale globale in cui vengono depositati i rifiuti.". Si tratta quindi di una storia iniziata in epoca coloniale e sempre più attuale. Un debito composto da molte cause: c’è quella del biossido di carbonio rilasciato in atmosfera dai paesi ricchi e che produce l’effetto serra, quella della biopirateria con l’appropriazione intellettuale delle conoscenze sulla natura sviluppate storicamente dai popoli, quella dell’estrazione e sottrazione delle risorse naturali dal petrolio alle foreste e alle risorse idriche, quella della devastazione dei territori del Sud provocata dall’abbandono dei rifiuti del Nord in quantità inimmaginabili. Per ognuno di questi Miquel Ortega Cerdà e Daniela Russi forniscono un quadro esauriente con un’efficace sintesi.
Dimostrato che questo debito "in senso inverso" esiste ed è sicuramente maggiore di quello dovuto dai paesi poveri, il problema diventa: è quantificabile? È risarcibile, almeno in linea di principio, attraverso del denaro? È utile quantificarlo? La risposta è articolata: la monetizzazione del debito può avere una funzione positiva, ma non è facile, spesso è impossibile, e l’operazione non è priva di rischi.
Il tentativo viene affrontato. Ad esempio, il Nord ha un "debito del carbonio" dovuto alle emissioni di biossido di carbonio: nel 1990 (anno base per il protocollo di Kyoto) l’istituto di ricerca IPCC, incaricato dall’ONU, ha valutato un eccesso di 9,805 gigatonnellate di biossido di carbonio rispetto a quanto può ricevere l’atmosfera senza subire cambiamenti climatici. Quanto valgono, in negativo? Si può prendere come riferimento la sanzione di 100 euro a tonnellata che la Commissione Europea applicherà alle emissioni che supereranno le quote fissate dal mercato interno. Il totale fa 980,5 miliardi di euro, una bella cifra per il solo 1990. Difficile però immaginare un meccanismo internazionale che la possa rendere operativamente esigibile.
Ma è la stessa valutazione monetaria dei danni ambientali che è discutibile. Lo scoglio insuperabile è l’incommensurabilità dei valori da misurare, l’impossibilità, cioè, di trovare un’unità di misura applicabile a valori molteplici e diversi: quale è il valore monetario di una vita umana, di un paesaggio, della propria identità culturale, della salute, dell’accesso all’acqua? Ci sono danni né riparabili né risarcibili. Tuttavia, osservano gli autori, "mostrare cifre potrebbe aiutare a far comprendere l’ingiustizia… potrebbe essere utile in un contesto giudiziario…la compensazione monetaria può servire a riparare qualche danno, a disincentivare chi svolge attività inquinanti…purché non venga concepita come un permesso alla contaminazione".
Informazioni e riflessioni che si pongono al centro dell’interpretazione degli eventi che oggi scorrono in guerre preventive e permanenti, molte delle quali del tutto ignorate, apparentemente solo in alcune aree calde, in realtà su tutto il pianeta. Il motivo mai dichiarato è il possesso delle risorse: chi più ne ha più ne vuole, ha la forza e se le prende. Quanto al diritto resta una sfida da raccogliere per chi crede in "un mondo diverso possibile".