Da alcuni anni mi occupo di educazione alimentare; in questo periodo di tempo è aumentato nella gente il bisogno di
sicurezza alimentare, a causa degli eventi legati all’epidemia della BSE (sindrome della mucca pazza) e ad altre
minacce alla salute dei consumatori (come il pollo alla diossina o il pesce al mercurio). Parallelamente si è fatta
strada nella coscienza delle persone che il cibo di qualità può aumentare la sicurezza alimentare, ma è
anche capace di riservare gradevoli sensazioni a chi lo consuma. È aumentata la considerazione per il vino di
qualità, per gli alimenti tipici, per l’agricoltura biologica e i suoi prodotti. Da qui deriva anche la
richiesta di acquisire, ad esempio già nel mondo della scuola, strumenti adatti a valutare e ad apprezzare la
qualità degli alimenti, sia per mangiare cibi sicuri che per gustare al meglio le piacevolezze della tavola;
l’educazione alimentare, a scuola, ma anche negli ambienti di lavoro e di svago, può contribuire a diffondere
una cultura del mangiare bene e del bere bene. Si è così allargato lo spettro dell’offerta formativa in
tema di alimentazione, non più limitato alle preoccupazioni per la dieta che fa dimagrire. Ma in questi ultimi anni
sono anche cresciute le emergenze e le preoccupazioni in tema di protezione ambientale, in seguito alle minacce
all’equilibrio ecologico. Ciò credo che sia dovuto principalmente a due fattori:
- l’aumento della povertà e delle disuguaglianze sociali in larghissime aree del pianeta (con conseguenti
deforestazione, desertificazione, degrado degli ambienti naturali e costruiti).
- tecnologie sempre più potenti e impatti sull’ambiente sempre più devastanti.
I legami fra ambiente ed alimentazione sono ovvi, anche se spesso non sufficientemente considerati e approfonditi, e
sono cominciati fin da quando l’uomo, ai primordi della civiltà, raccoglieva e cacciava, in completa armonia
con l’ambiente. La crisi ecologica dei nostri tempi ci spinge a riconsiderare questo rapporto fra ambiente e cibo,
e a ripensare i presupposti e le condizioni su cui si fonda la scelta quotidiana degli alimenti di cui ci cibiamo. Basta
pensare alle conseguenze che cambiamenti rilevanti della dieta possono avere sull’uso del suolo e
sull’economia, quindi sulla crescita, lo sviluppo, il modo di produrre di un intero territorio (ma oggi verrebbe
quasi di dire l’intero pianeta). Se ad esempio, come auspicava Lovelock ("
Manuale di medicina
planetaria", Zanichelli), si riducesse significativamente il consumo di carne bovina nei paesi ricchi, il pianeta
ne risentirebbe positivamente (meno deiezioni inquinanti, meno effetto serra) e la popolazione mondiale avrebbe molto
più spazio per coltivare piante ad uso alimentare. Mangiare bene è quindi un importante elemento della
consapevolezza e della responsabilità ecologica. Infatti la produzione di alimenti è in forte connessione con
l’uso del suolo e con il tipo di sviluppo economico di un certo territorio. Di conseguenza anche
l’alimentazione e le scelte alimentari di tutti noi sono connesse al modo di produrre, di generare rifiuti e di
consumare risorse. Il futuro del pianeta dipende da queste scelte, perché oggi da più parti si sostiene che il
tipo di vita che abbiamo scelto, mi riferisco a quello occidentale, non è più sostenibile (a causa dei costi
ambientali sempre maggiori) né è compatibile con un minimo di equità sociale. Se vogliamo cambiare
sistema di produzione e stile di vita dobbiamo cambiare anche il tipo di alimentazione e il significato che ognuno di
noi dà al cibo che acquista, cucina e ingerisce tutti i giorni. La dieta sostenibile prevede una serie di
comportamenti che possono venire incontro alle istanze prima dette; essa è quella successione di alimenti che noi
scegliamo di produrre, acquistare, cucinare e consumare, tale da soddisfare bisogni psico-fisici inerenti al nostro
organismo e da assicurare una corretta gestione delle risorse ambientali e industriali. Ci deve assicurare salute,
benessere ed equilibrio psico-fisico, ma anche permettere un uso del suolo, un sistema di produzione agro-alimentare ed
un sistema di commercializzazione equi e capaci di conservare le risorse ambientali del pianeta. La dieta sostenibile si
differenzia dagli altri tipi di diete (come l’ipocalorica, la vegetariana, ecc.) perché pone al centro
dell’attenzione, oltre al soggetto, l’ambiente e il sistema produttivo. Nel sito dell’AIAB,
Associazione Italiana Agricoltura Biologica (
www.aiab.it) è possibile attingere ad
una estesa documentazione relativa alla dieta sostenibile; in particolare si distinguono cinque aspetti significativi:
- l’igiene e la salubrità degli alimenti;
- le caratteristiche organolettiche del cibo e la degustazione;
- l’ambiente;
- la solidarietà e la condivisione;
- il benessere animale.
Gli ultimi due punti meritano un commento a parte, in quanto portatori di valori etici meno scontati, forse, rispetto ai
punti precedenti, ma certo non meno importanti e centrali. L’attuale sistema di produzione e scambio dei prodotti
agro-alimentari è fortemente ingiusto, e genera disuguaglianze e dipendenze. È necessario puntare ad una
produzione agro-alimentare nel Sud del mondo tale che le famiglie che lavorano la terra e risiedono nelle campagne
possano sostenersi e vivere autonomamente, senza necessariamente legare la produzione al mercato, che spesso vincola e
strozza i contadini più deboli, a favore delle multi-nazionali dell’agro-industria. È necessario puntare
a realizzare quella che da più parti è chiamata "sovranità alimentare", ossia il diritto degli
agricoltori a produrre in primis ciò di cui hanno bisogno, senza dipendere da fattori produttivi costosi e da
contratti capestro per la collocazione dei raccolti sul mercato. Questo presuppone anche la riscoperta e la
valorizzazione dei prodotti agricoli tradizionali locali, delle culture contadine in via di estinzione o addirittura
dimenticate. Il rispetto dell’uomo per l’animale che lo nutre non si pone al di fuori di queste
considerazioni; al contrario il benessere degli animali allevati si integra perfettamente in un contesto lavorativo e
produttivo dove al centro non c’è il profitto, ma la sostenibilità delle azioni dell’uomo che
rispetta l’ambiente. Qualche anno fa, quando scoppiò il caso della mucca pazza, molti allevatori si
meravigliarono della nocività delle farine animali per la nutrizione dei bovini; come è possibile che non
avvertissero l’assurdità di una tale scelta? Anche un bambino capisce che i ruminanti non sono fatti per
mangiare farine animali, e che una tale scelta è contro natura. Purtroppo quando si mira unicamente al profitto si
dimenticano le regole più ovvie e più naturali per fare una corretta agricoltura. L’educazione ad una
dieta sostenibile può essere quindi considerata una parte dell’educazione ambientale; condivide infatti con
essa i presupposti, gli oggetti, le finalità. Se si definisce l’educazione ambientale come quel processo che
mira a mettere il soggetto nelle condizioni di realizzarsi pienamente in armonia con l’ambiente, quale modo
migliore per raggiungere tali obbiettivi se non quello di scegliere una sana alimentazione che preveda un uso
equilibrato del suolo e delle risorse?