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Negli odierni allevamenti intensivi gli animali non possono muoversi, sdraiarsi, svolgere le loro attività naturali; poiché devono aumentare di peso in poco tempo, sono forzati a mangiare tutto il giorno e vengono somministrati loro grandi quantità di farmaci; non vedono l’erba e la luce del giorno e vivono nei propri escrementi. Quando hanno raggiunto le condizioni ottimali per essere macellati, sono trasportati in bui TIR per giorni, senza acqua o cibo, e coloro che si feriscono (visto che si calpestano tra loro, essendo troppi in ogni vagone) attendono a lungo, soffrendo, di essere portati via o muoiono senza cure. Al che vengono spinti in fila nel macello (costretti con pungoli), uccisi senza essere preventivamente storditi, spesso sgozzati vivi, e appesi per essere scuoiati. Queste e tante altre le crudeltà riservate ad esseri viventi che di questa natura ben poco conservano, dato che sono trattati alla stregua di macchine, componenti di un’enorme catena di montaggio nell’industria alimentare contemporanea; unità di produzione dalle quali si richiede estrema efficienza.
La massiccia mole di animali allevati per la produzione di carne è una delle principali cause della degradazione dell’ambiente e dell’ecosistema terrestri. Nel corso dell’ultimo secolo sono stati distrutti miliardi di mq di foreste (tra cui quella amazzonica) per fare posto a pascoli, strutture per l’allevamento e, soprattutto, campi di cereali destinati a tradursi in mangimi. Gli allevamenti intensivi comportano ingente consumo di acqua dolce mentre di contro contribuiscono in maniera decisiva all’inquinamento delle falde acquifere; sono anche causa di desertificazione e dell’effetto serra (per le enormi emissioni di gas metano).
Il sostentamento del regime alimentare carnivoro delle società capitaliste aggrava gli squilibri economici tra nord e sud del mondo, riducendo all’indigenza assoluta comunità agricole già povere. Estesi appezzamenti di terreno nei paesi del sud sono infatti espropriati alle popolazioni locali e destinati alla produzione di foraggio per gli allevamenti. Se i paesi industrializzati e capitalisti abbandonassero la dieta carnea a favore di quella vegetariana, tutte le popolazioni del mondo raggiungerebbero l’autonomia alimentare: basti pensare che per produrre una tonnellata di carne ne occorrono sette di cereali.
Una dieta ricca di carne è pericolosa per la salute umana. Si è constatato già da tempo che fra i vegetariani si ha una minore insorgenza di patologie cardiovascolari e di tumori maligni. Ma il problema non si limita a questo aspetto; bensì si deve tener conto che i farmaci, legali o anche illegali, che gli animali sono costretti ad ingerire in dosi massicce, restano nei tagli di carne che arrivano sulle tavole dei consumatori, i quali sottopongono in tal modo la propria salute a gravi rischi. Effetti altrettanto pericolosi possono essere dati dall’uso di mangimi non idonei. Si pensi alla spaventosa epidemia della "mucca pazza": un animale naturalmente erbivoro è stato forzato ad un’alimentazione carnivora (per giunta ricavata da carcasse di animali morti per malattia), in nome dell’efficienza e del risparmio in un aberrante sistema economico-alimentare. E oltre a milioni di capi di bestiame, a rimetterci la pelle sono stati anche esseri umani.
Scegliere di praticare il vegetarianesimo significa, dunque, risparmiare agli animali atrocità inammissibili e restituire loro la dignità di esseri viventi, liberi dall’arrogante ed efferata schiavitù cui gli uomini li hanno costretti. Significa cercare di ristabilire un equilibrio tra le società umane, andare contro un sistema capitalista che sacrifica ancora una volta al profitto la salute, la dignità, l’uguaglianza. L’acquisizione di un regime alimentare vegetariano (o vegano) rappresenta una forte presa di coscienza riguardo alle deviazioni del regime economico mondiale attuale e, come tale, può essere segno di crescita interiore. La scelta vegetariana non ha alcun aspetto del feticismo o di una fede per la quale si crede in una verità proveniente dall’alto, al contrario manifesta più i connotati di una filosofia, di una potente riflessione politico-economica, idealista ma anche profondamente pratica. Proprio per questo esistono differenti modi di concepirla e di viverla e in ogni caso si tratta di una decisione strettamente personale e intima. Quindi non mi vergognerò di sedere al tavolo con gente che si ciba di carne, ma proverò a spiegare loro le ragioni della mia scelta qualora siano interessati. Non mi flagellerò con sensi di colpa se in un’occasione non potrò rifiutare un piatto di carne offertomi, ma non la comprerò io stessa né la ordinerò al ristorante. Il fine ultimo è quello di ridurre al minimo la richiesta di carne in modo da rendere inutili e addirittura dispendiosi gli allevamenti intensivi attuali. Ma diventa anche quello di far compiere alla specie umana un passo avanti, verso una nuova consapevolezza e un rapporto più equo con i propri simili e con gli altri esseri viventi.