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Una diga a Taormina

di

Gian Antonio Stella

Orrore, una diga immensa nel mare blu proprio sotto il teatro greco di Taormina? «Tranquilli: basterà coprirla di ceramiche sicule con pittoresche scene di vita della nostra bellissima Trinacria!». La straordinaria risposta, preziosa chicca di surrealismo che va ad arricchire un’inesauribile storia di scelleratezze devastanti per il patrimonio storico, paesaggistico e monumentale della Sicilia, sarebbe stata data alla giunta comunale taorminese da un’autorità che mai potreste immaginare: la sovrintendenza. L’organo delegato a bloccare le follie della speculazione selvaggia. L’idea, che da qualche settimana anima il dibattito tra gli abitanti e i partiti della cittadina, indecisi tra le risate liberatorie («cose di pazzi!») e le barricate difensive («ci sono tanti soldi in ballo che magari ci provano davvero»), ha un solo precedente. La proposta lanciata negli anni Sessanta da chi aveva immaginato a Venezia un’autostrada translagunare con piloni alti trenta metri per farci passare sotto le petroliere. Orrore: piloni di trenta metri davanti alla Basilica di San Marco? «Tranquilli: li dipingeremo coi bei colori tenui della Laguna».

Proposta naufragata. Se queste splendide ceramiche regionali di Caltagirone, Cefalù o Santo Stefano di Camastra, orgoglio di ogni siciliano, siano almeno sulla carta in grado di reggere l’urto di mareggiate quali quelle che a volte frustano le coste tra Messina e Catania, lo sa solo Iddio. Basti ricordare che un braccio di cemento tre volte più corto della diga in programma, costruito trent’anni fa all’altro capo della baia, ha fatto infuriare lo Jonio al punto tale che è andato a sbranarsi la spiaggia dei Giardini Naxos.

Come i buontemponi abbiano avuto la bella pensata, invece, è sotto gli occhi di tutti: ogni palliativo può essere utile per far digerire alla gente una operazione edilizia indigesta. Ciclopico suggello in calcestruzzo ad un assalto alla natura e alle ricchezze di Taormina che non si vedeva da decenni.

Che la baia dominata dal monte Tauro, amatissima dal turismo internazionale, senta la necessità di avere una darsena, per carità, si può anche capire. E gli stessi Verdi, dopo aver dato battaglia per anni, si sono infine rassegnati al completamento di quel porticciolo tra Capo Schisò e i Giardini di Naxos di cui dicevamo: visto che ormai il braccio di cemento c’è e non c’è modo di toglierlo, tanto vale completarlo. Un intervento relativamente morbido, già esecutivo e finanziato. A un miglio marino da Taormina: tre minuti di navigazione.

«E noi niente?» saltano su i campanilisti della cazzuola taorminese. Ed ecco apparire un progetto della «Russottfinance» per costruire un secondo porticciolo proprio sotto la cittadina, davanti alla stazione ferroviaria ai piedi delle spettacolari rupi cantate dai poeti. Promotore: Sebastiano Russotti, il re del mattone vittima nel ’78 di un agguato e vari attentati dinamitardi, protagonista venti anni fa (poi assolto) dello scandalo dei «traghetti d’oro», arrestato dieci anni fa per la costruzione con materiali scadenti di centinaia di case popolari e ri-arrestato per avere venduto ad un prezzo stratosferico alla Provincia (il cui presidente finì in manette) un famoso albergo messinese che l’ente pubblico non avrebbe mai usato e infine condannato a due anni e mezzo a Milano in un processo per corruzione all’ufficio condoni comunale. Insomma: una carriera con intoppi. L’esatto contrario del suo progetto che finora, nonostante gli allarmi degli ambientalisti, è filato via liscio liscio (…). Eppure, i numeri sono tali che avrebbero dovuto affondare la megalomane struttura, via via ampliatasi a dismisura col dilatare degli appetiti, fin dal primo abbozzo.

L’area occupata (298 mila metri quadrati di cui 247 mila nell’acqua cementificata della baia) sarebbe infatti pari a 39 volte il campo di San Siro.

Sarebbe protetta da due dighe, di cui una, alta sei metri e mezzo (quella da ingentilire con le ceramiche di vita siciliana), correrebbe parallela alla costa per 834 metri. E ospiterebbe, oltre a 792 posti barca (487 più della immensa darsena del Salone nautico di Genova e quasi il decuplo del bacino di San Giorgio a Venezia) più la bellezza di 3.700 metri di banchine e piazzali, scogliere e spiagge artificiali, più tutte le opere e i servizi necessari a un porto più 6 residence con 240 monolocali per un totale di 83.400 metri cubi (come un palazzone di quattro piani largo 10 metri e lungo 83) più 15 mila metri quadri di parcheggi, più un centro commerciale, più un grande albergo per 49.700 metri cubi pari a un cubo di 15 metri per lato alto sette piani.

Il tutto nella rada di Villagonia, sotto il teatro greco, ai piedi delle rupi sulle quali svetta una delle più belle e più celebri cittadine del mondo. In un territorio considerato patrimonio collettivo mondiale, sottoposto a vincolo paesaggistico e archeologico perfino nella sua parte immersa nel mare, dato che i fondali (anche al di là della tutela dovuta alla preziosa fauna e alla flora su cui spicca l’alga Posidonia Oceanica) accolgono i resti di molti naufragi e sono ricchissimi di reperti.

Direte: ma come, non hanno cestinato tutto senza manco discuterne? Macché. L’idea non solo ha fatto proseliti, ma ha spaccato il Consiglio comunale, dove oggi domina una maggioranza di destra andata al potere proprio accusando (spesso giustamente) la precedente amministrazione di sinistra guidata dal diessino Mario Bolognari, che incassò uno sventurato plauso al porto anche di un incauto Massimo D’Alema, d’aver ceduto troppo ai cementieri.

Risultato: alla «Marina di Taormina» non è ostile una parte (minoritaria) della sinistra ed è invece contrarissima una parte (minoritaria) della destra. Col sindaco Aurelio Turiano, Udc, che galleggia: «Non abbiamo deciso niente. Rifiutiamo, però, ogni posizione preconcetta: vediamo, esaminiamo, valutiamo…D’altra parte, se la sovrintendenza dà il via libera buttando lì l’idea delle ceramiche…».

Mal che vada, dicono i maligni, si potrebbe costruire il mostro hollywoodiano e poi ripetere il trucchetto già applicato dalla Regione Sicilia con le foto pubblicitarie di Taormina pubblicate sui giornali di tutto il mondo. Dove il fondale del Teatro Greco è stato ritoccato cancellando col computer ogni schifezza costruita nella baia. Che appare verde e lussureggiante come ai tempi di Eforo. E tutti a dire: «Quant’era bella!». Era.

Il Corriere della Sera, 22 maggio 2004

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