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Sommario:

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Africamedia. L’informazione dei media occidentali sulla realtà africana

di

Francois Dupaquier

“Silenzio, i consumatori di informazione non sono interessati o non sono solvibili”

L’Africa è considerato un “prodotto” non vendibile nel mercato di stampa e TV.

Dal 1997 i popoli del Congo e del Ruanda stanno subendo una durissima guerra di tipo “mafioso” mossa dalla ricchezza delle miniere del Congo-Kinshasa: ha provocato più di 3 milioni di morti. La situazione in Congo è drammatica dove l’occupazione straniera, la depredazione nazionale hanno fatto sparire le reti di solidarietà messe in piedi faticosamente nell’era Mobutu. Oggi si muore di malattie (curabili), di malnutrizione e di banditismo. I dispensari dei farmaci sono vuoti, i porti privi di traffico, le industrie in rovina, i campi saccheggiati e depredati. I giovani cercano di sfuggire all’arruolamento forzato, le donne alle violenze ed alla prostituzione. Nonostante tutto ciò i media occidentali tacciono: negli anni ’60 bastavano 100-1000 morti africani per provocare qualche articolo di stampa (equivalenti a 10 morti bianchi occidentali). Oggi non è più così. Gravissimo il disinteresse dei media francesi: nemmeno l’intervento dei loro militari in Ruanda (1990-94) ha provocato interesse. Episodi drammatici – come l’uccisione da 80.000-300.000 africani da parte di miliziani delle due lobbies in conflitto, finanziati dalla multinazionale ELF, in Congo-Brazzavile nel 1998-99 -- non trovano spazio nei media occidentali. Casi analoghi riguardano il Ciad, dove nemmeno le circostanziate denunce della Federazione internazionale dei diritti dell’uomo servono a nulla, la Costa d’Avorio, il Madagascar…

Come la letteratura coloniale del secolo scorso legittimava l’avventura coloniale, questa stessa “selvaggeria africana” fa muovere oggi i cronisti francesi dei servizi “esterni”: basta l’assassinio di qualche colono bianco per mobilitare reporter e media occidentali (esempio dello Zimbawe). Così se si determina qualche “rientro” dei coloni francesi e bianchi da qualche regione africana. Nulla invece sulle tragedie nelle zone dei grandi laghi, o sulle guerre “civili” o sulla carestia in Somalia. Un membro della associazione “Medici senza frontiere” chiedeva ad un responsabile di reti TV una maggiore attenzione mediatica sull’Africa. Si sentì rispondere che “i telespettatori erano stanchi di vedere drammi africani, sempre gli stessi irrimediabilmente da decenni”. Peraltro i reporters specializzati su cose africane sono pochi, poco esposti a critiche di lettori-spettatori, ben “amalgamati” con i fini commerciali di giornali e TV, anche corrotti ed incompetenti. Un africano, Abdallah Ahmedou Ould - rappresentante speciale del segretario generale dell’ONU - così valuta la situazione “informativa” del Burundi: “i giornalisti occidentali arrivano qui con forti pregiudizi, sono convinti di sbarcare in un Paese arretrato, violento, selvaggio ed incompetente”. L’autore attribuisce alla “autocensura commerciale” questa situazione mediatica: essendo ormai l’informazione una merce di profitto commerciale e politico – un prodotto intellettuale ed industriale - “passa” solo quello che è vendibile a consumatori che possano pagare. Prevale perciò il sensazionalismo di maniera. Certo molti giornalisti negano di avere questo ruolo al “servizio del diavolo”: dicono di essere liberi nelle scelta dei temi e nel descriverli…ma essi sono ingranaggi della logica gerarchica di imprese commerciali. Se c’è etica nel loro lavoro, essa è quella dei consumatori solvibili. Perciò termini come “deontologia”, ”etica”, “libertà” suonano falsi e privi di senso. In termini commerciali e di audience una “copertura” adeguata dei fatti africani è oggi più che mai fuori mercato. In Africa arrivano merci avariate e di scarto: lo stesso accade per la merce-informazione. Perciò l’Africa è piuttosto “oggetto” che soggetto di informazione: lo stesso mercato locale dell’Africa nera è gestito con arroganza dai media francesi. Al concetto di “missionario”, proprio dell’era paleocoloniale, si è sostituito oggi il concetto di “umanitario”. Oggi il giornalismo sull’Africa è appunto “umanitario” : mostra medici che curano feriti, donatori che portano cibo e medicine. Un giornalismo che riflette cose “banali”, che emoziona nel rapporto vittima - salvatore, che presenta i fatti come tragedie “umanitarie” naturali, senza cause politiche, senza giudizi storici e di valore, senza reminiscenze coloniali o imperialiste. Eventi sottoposti al “singhiozzo” umanitario dell’uomo bianco - spettatore.

Paesi in cui regna l’anarchia e la corruzione, dove manca lo Stato e il senso dello Stato e della giustizia, nei quali l’uomo bianco, ieri missionario, oggi umanitario riveste di nuovo i panni di “ salvatore”. Ma questa visione falsa ed arretrata finirà per danneggiare gli stessi “media” che la diffondono: essi si alieneranno progressivamente quella opinione pubblica che prende coscienza e che acquista solvibilità.

Breve commento personale al testo sintetizzato:

Dunque anche per l’Africa - sia pure in modo più cinico e spregiudicato - vale la ricetta imperialista della cosiddetta “libertà di informazione” tanto cara a giornalisti e politici di casa nostra. Un altro esempio dell’analisi che come Forum DAC denunciamo da un paio di decenni, senza trovare grande ascolto, nemmeno tra i progressisti. Sono questi i risultati della svendita dei servizi pubblici, del monopolio dei giornalisti “ben pagati”, della privatizzazione-mercificazione di servizi essenziali e di ruoli pubblici e costituzionali. La demolizione degli Stati nazionali, della loro autonomia politica, economica e mediatica, serve appunto a creare le premesse della colonizzazione imperialista, sia in patria che all’estero. Governanti e giornalisti di diverso colore continuano a raccontarci le favole delle “missioni umanitarie” - con o senza la benedizione dell’ONU: a queste favole si adegua il sistema mediatico ed industriale dei colonizzatori in Africa, come nei Balcani; in Iraq, come in Afganistan. Ora i mass-media occidentali ci dicono senza reticenze che è aperta la caccia alle risorse umane e materiali della ex- Jugoslavia, che gli “investitori” occidentali hanno le garanzie militari, politiche ed economiche per fare superprofitti “garantiti”, per ricattare in patria la forza lavoro italiana ed europea. Ecco cosa sono state e saranno le “missioni umanitarie” dei Balcani e dell’Iraq. Qui i governi “fantoccio” insediati a furor di…bombe, sono pronti a fare da “copertura” degli occupanti. La Jugoslavia socialista - forte ed unita - smembrata in tanti feudi del “mercato occidentale”. “A ciascuno il suo“, in rapporto al ruolo distruttivo esercitato nell’aggressione armata. La logica imperialista sull’Africa ha le stesse finalità che altrove: usa solo tecniche diverse di dominazione. Le bande armate e le mafie foraggiate da interessi diretti delle multinazionali sfruttatrici. Non aveva fatto cose analoghe con l’UCK nei Balcani o con i talebani in Afghanistan? Altro che “lotte tribali o vendette etniche”: balle occidentali, come le “fosse comuni “ del “dittatore” Milosevic. Di fronte a tanta ipocrita barbarie, occorre trovare le strade per liberarsi. La dittatura mediatica non è meno distruttiva di quella militare, politica ed economica: si maschera meglio, ma si può anche contrastare, con la mobilitazione e la presa di coscienza, ma anche con progetti e strategie ponderate. E’ questo i senso delle proposte del nostro Forum DAC-www.roamcivica.net/forumdac.

Fonte: www.mouvements.ass.fr
Traduzione di: E. Giardino - Forum DAC-
28 giugno 2004
a cura di Elisa Fanelli

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