Un inervento di Vanessa Palucchi, vicepresidente Nazionale Legambiente
“Dietro a Greta: voglia di futuro” di Vanessa Pallucchi
[da “Rivista dell’istruaione”, 6-2019]
Il fenomeno Greta
Molti si chiedono se la mobilitazione sul clima generata dalla giovane attivista svedese Greta Thumberg sia pilotata da qualche potere occulto o piuttosto espressione autentica di una generazione. Certo Greta ha tutte le caratteristiche per essere un personaggio di rottura. Viene percepita come ‘diversa’, non è mai edulcorata in quello che dice ma è molto diretta, è austera nel porsi e coerente nel comportarsi, si documenta, approfondisce e usa la scienza e la conoscenza come strumento dell’etica e della politica. Greta è giovanissima e donna. Tutto questo esce dagli schemi tradizionali di una informazione che non va in profondità, che soprattutto quando si parla di scienza e di fenomeni ambientali raramente lo fa con competenza, di una rappresentanza politica che esclude quasi sempre i giovani, sempre i giovanissimi e almeno nel nostro Paese, spesso anche le donne. Ma soprattutto mette un dito nell’occhio dei potenti e più in generale delle generazioni adulte, che malgrado le evidenze, non riescono a uscire da un modello di sviluppo che ha generato disuguaglianze e consumo dissennato delle risorse.
Il re è nudo
Greta ha semplicemente messo in luce come non si possa più uscire dai summit internazionali sul clima con soluzioni tampone: ormai “il re è nudo”, abbiamo solo 12 anni per contenere l’aumento delle temperature entro un grado e mezzo ed evitare la catastrofe ambientale, le cui conseguen
ze le subiremo tutti, ma soprattutto già le stanno subendo in maniera impietosa i più poveri e chi è ai margini della società. È un messaggio forte, che richiama pesantemente in causa il futuro delle nuove generazioni, che da sempre sono pietra angolare dello sviluppo sostenibile, che è appunto tale quando è in grado di soddisfare “i bisogni della generazione presente, senza compromettere la possibilità delle generazioni future di realizzare i propri”. Obiettivo chiaramente fallito, che si porta dietro anche una serie di conseguenze che lasciano percepire ai giovani che una parte del loro futuro è ‘compromessa’ se non si fanno scelte radicali. La battaglia ambientalista a favore del clima che sta portando in piazza milioni di giovani è un emblema di una rivendicazione prioritariamente generazionale. Il clima è l’emblema del consumo di futuro in senso più ampio che si è perpetrato ai loro danni, è l’aspetto più evidente e comunicabile, ma accanto a questo ruotano tanti altri fenomeni.
La questione generazionale
In particolare nel nostro Paese c’è una nuova questione giovanile legata a una generazione che è minoranza demografica nel Paese e anche per questo poco rappresentata, perché non viene percepita come forza socialmente rilevante e sottoposta a varie forme di disuguaglianza. Non basta una proposta come quella dell’accesso al voto a partire dai 16 anni per dare una risposta concreta a queste generazioni, occorre piuttosto ripristinare i luoghi della partecipazione democratica e della cittadinanza sia all’interno delle organizzazioni che delle istituzioni, a iniziare dalla scuola. È molto significativo vedere, infatti, come in Italia il movimento dei Friday for Future sia nato a partire dalle scuole e dalle università, gli unici luoghi collettivi dove i giovani ormai stanno insieme e possono costruire una coscienza e un sentire comune. La cosa più interessante è che è realmente un movimento dal basso, generato dalla figura e dal messaggio di Greta che ha aiutato a costruire un immaginario, un riferimento e una speranza, ma che si alimenta ora da solo con proprie idee e declinazioni.
Il ruolo dell’associazionismo e della scuola
Come Legambiente, associazione ambientalista, osserviamo con grande interesse l’evolversi di questo movimento con un atteggiamento di dialogo e comprensione di come queste generazioni vivano e sentano l’impegno civile e la partecipazione. Sarebbe un errore voler mettere marchi su quella che è in assoluto la più importante mobilitazione giovanile sull’ambiente, nata autenticamente dal basso. Altro compito, da organizzazione strutturata e matura quale è Legambiente, è contribuire a costruire alcune condizioni perché questa spinta innovativa e questa richiesta di diritto al futuro che interroga e coinvolge tutti noi, non si spenga e piuttosto si diffonda. A partire da alcune riflessioni da condividere anche con altri soggetti, dalle altre associazioni al mondo della scuola e delle istituzioni.
‘Figli’ dell’educazione ambientale
Partiamo dal chiedere una scelta di campo alla scuola e al mondo dell’educazione più in generale, per contribuire a costruire un diverso modello di
sviluppo: sostenibile, inclusivo e giusto. La spinta culturale deve fortemente partire dai luoghi dell’apprendimento, anche se non si deve cadere nell’errore in cui troppo spesso si cade, di una delega assoluta. Facciamo questa richiesta anche con la consapevolezza che se oggi molti giovani hanno competenze sull’ambiente e un forte desiderio di partecipazione intorno alle sfide ambientali, lo si deve anche al costante e diffuso lavoro che dagli anni novanta a oggi si è fatto sull’educazione ambientale e allo sviluppo sostenibile, che è entrata nelle scuole e da esse accolta e fatta propria, non come educazione di nicchia o specifica disciplina, ma come cardine di una formazione alla cittadinanza contemporanea. I ragazzi dei Friday For Future sono in parte figli di quella impostazione educativa e chiedono di chiudere la forbice fra consapevolezza data dalle conoscenze scientifiche sullo stato del Pianeta e l’inadeguata realtà ad attivare soluzioni e cambiamenti, cogliendo in pieno quanto questo abbia a che fare con la praticabilità di una loro qualità della vita futura. Non tutti i ragazzi sono dentro a questa logica di impegno, anzi, molti sono anche ai margini dei processi di apprendimento e di inclusione. Stiamo parlando di un attivismo che sta divenendo molto visibile nella comunicazione e nella definizione di un nuovo immaginario rispetto alle giovani generazioni, ma è minoritario rispetto ai tanti giovani che vivono con distacco e disinteresse queste mobilitazioni e le spinte che le determinano. Se ci accontentassimo della forza comunicativa, rischieremmo di condannare questo movimento alla caducità dell’informazione, occorre costruirci accanto, invece, una consapevolezza educativa e culturale diffusa, anche nell’ottica di ripensare la scuola intorno alle sfide della contemporaneità che sono sia di carattere ambientale che sociale.
Cambiare il modo di fare scuola
Ripensare i metodi del fare scuola, ad esempio, intorno al paradigma ecologico che non si ferma certo ai contenuti, ma riguarda anche il modo di apprendere insieme agli altri, di generare la conoscenza dall’esperienza, di lavorare in una modalità transdisciplinare per avere restituita la complessità e l’interdipendenza dei saperi, è alla base di rivedere il compito dell’istruzione intesa come formazione a una cittadinanza consapevole. Insomma, rendere la scuola un laboratorio di cittadinanza attivo e dinamico, con una circolarità dell’apprendimento che non esclude nessuno e offre a tutti gli strumenti necessari per sapersi orientare in una società sempre più alta complessità. Per fare questo la scuola deve anche riaprirsi al territorio e essere ricollocata al centro di esso: si educa a un modello di società se poi la comunità a cui si appartiene condivide processi che vanno in quella direzione. Ma che fine hanno fatto le comunità e in quale relazione sono con le giovani generazioni? Questo è un altro aspetto centrale se vogliamo comprendere i motivi profondi e le domande che implicitamente ci pone questo movimento giovanile. Le comunità dalle più ristrette come le reti famigliari e amicali alle più allargate come quelle territoriali, da tempo vivono un fenomeno di frantumazione da una parte e di polarizzazione dall’altra: c’è perdita di fiducia e inasprimento come risposta alle tante nuove frustrazioni e bisogni inascoltati, c’è sempre meno accoglienza verso il prossimo e il diverso, c’è la perdita dei luoghi e dei contesti della condivisione a favore di fenomeni di isolamento che vedono fra le principali vittime i giovani e i giovanissimi. Le comunità non sono più luoghi di apprendimento e cultura collettivi e le cosiddette comunità virtuali tendono sempre di più ad alimentare questo isolamento. I giovani mobilitati per il clima anche su questo provano a costruire una risposta e un messaggio: insieme si può, ricostruiamo reti sociali generazionali per chiedere di cambiare, ricostruiamo delle comunità che si confrontano anche mettendo al centro la conoscenza e il merito. Che cosa sono gli scioperi del venerdì per il clima se non un invito a ricostruire comunità intorno a un interesse collettivo?
Una sfida educativa e politica
Mentre i giovani provano a fare la loro parte, interrogano anche severamente il mondo adulto declinato in varie forme istituzionali e più in generale come generazione. Siamo disponibili a riequilibrare la disuguaglianza di opportunità e diritti che abbiamo sottratto alle nuove generazioni? Questa è la domanda che ci dobbiamo porre per non cadere nell’ipocrita prospettiva, spesso sostenuta anche da alcuni rappresentanti istituzionali, che la speranza di rendere il mondo più sano e giusto sia delegato alle giovani generazioni. Ma come ci ricorda Greta nei suoi severi ammonimenti “non c’è più tempo”, i sedicenni di oggi non ce la possono fare a cambiare lo stato attuale delle cose se chi detiene il potere politico ed economico non mette in discussione gli attuali modelli di sviluppo e se i cittadini, nelle declinazioni di elettori e consumatori, non fanno scelte sostenibili e lungimiranti nella loro vita di tutti i giorni, nell’orientare responsabilmente le loro scelte. I giovani ci pongono una sfida che è educativa e politica nello stesso tempo, che sta a tutti noi cogliere, con la consapevolezza che sono generazioni che stanno sperimentando un proprio modo di costruire partecipazione dal basso e su azioni molto concrete, un percorso molto diverso dall’approccio legato alle ideologie e all’appartenenza che è stato proprio delle generazioni del Novecento, ma dal quale stanno anche emergendo nuovi valori civici come la cura del bene comune e la cultura del limite delle risorse.
Istanze ambientali e sociali concrete
Dovremo incontrare i giovani a partire dalle loro istanze, costruire sul territorio e anche nelle scuole, dei cantieri di cambiamento molto concreti, utilizzan
do proprio la sfida climatica come prospettiva da accogliere in pieno e intorno alla quale strutturare delle risposte condivise fra le generazioni. Questa è la strada che ha intrapreso da tempo la nostra associazione cercando di tenere assieme una pluralità di soggetti su esperienze ormai consolidate, che tengono assieme istanze ambientali e sociali come facce della stessa medaglia del diritto a una vita e a un futuro di qualità. In questa ottica nascono le esperienze di mobilità sostenibile casa-scuole e casa-lavoro, che migliorano il diritto alla mobilità e alla socialità soprattutto per i più piccoli con la riduzione delle emissioni e dei costi di trasporto, oppure la grande diffusione degli orti solidali che uniscono il diritto di accesso per tutti a una alimentazione di qualità con l’eliminazione di sostanze chimiche in agricoltura e delle emissioni dei trasporti delle merci, o ancora, la rete di Scuole Sostenibili, che lavorano sugli stili di vita a scuola e il miglioramento degli ambienti, come parte integrante del proprio curricolo scolastico, facendo sostenibilità, integrazione e innovazione metodologica nello stesso tempo. Dal locale e dal rapporto di prossimità occorre ripartire per colmare cesure generazionali e non perdere il lungimirante apporto che ci stanno dando le giovani generazioni per indicarci le priorità future. Un’energia che va assolutamente nutrita, sottolineando quanto sostenuto da Morin Nell’anno I dell’era ecologica “Il problema ecologico ci riguarda non soltanto nelle nostre relazioni con la natura, ma anche nelle nostre relazioni con noi stessi”